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“Quando eravamo re” e le parole oltre le immagini

Frutto di una gestazione di circa vent’anni e a ventiquattro dalla sua uscita in sala, Quando eravamo re si dimostra ancora oggi uno dei migliori esempi di documentario sportivo della storia del cinema, testimonianza dell’epico match pugilistico valido per il titolo mondiale di pesi massimi tra Muhammad Alì e George Foreman, il primo tra due afroamericani tenutosi in Africa, nel 1974. La manifestazione assunse da subito un’enorme portata: negli anni del black pride, due atleti neri di prima categoria si contendono il più alto riconoscimento della loro disciplina nella terra dei loro avi, da cui secoli prima partirono le prime navi cariche di schiavi dirette verso l’America.

Tra Iliade e Odissea. Ancora su “Quando eravamo re”

Inaspettatamente, Quando eravamo re ottenne il premio dell’Academy; allo stesso modo, 22 anni prima, Alì era riuscito a smentire ogni pronostico di fronte ai sessantamila fortunati dello Stade Tata Raphael e un miliardo di telespettatori sbalorditi. Non serve soffermarsi sul perché quell’incontro abbia preso un posto nell’olimpo sportivo: l’imprevedibile strategia portata sul ring dal fu Cassius Clay, unita alla narrativa del David contro Golia, risulta sufficiente per giustificare ciò. Tuttavia, se il documentario di Gast avesse semplicemente catturato gli otto round del combattimento, forse avrebbe attirato solo l’attenzione degli amanti del pugilato e dello sport; invece, sono proprio le immagini dell’avvicinamento alla sfida a dare giustizia alla fenomenalità comunicativa di Alì.