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“È stata la mano di Dio” tra Napoli e Fellini
È stata la mano di Dio risulta un racconto di formazione completo, ricco di sfumature che virano dalle piccole gioie di un contesto familiare imperfetto ma amorevole allo strazio dell’abbandono, dall’attrazione erotica verso la sorella della madre alla gelida apatia che aleggia sulle macerie di una vita distrutta improvvisamente. Non solo una coerente ricostruzione di accadimenti personali, ma specialmente la loro sublimazione in linguaggio filmico denso e stratificato. Ecco dunque il richiamo a Fellini, autore che come pochi altri ha osato denudarsi attraverso il suo cinema. Un atteggiamento che Sorrentino ha talvolta lasciato intravedere, senza però trovare mai il coraggio di mostrarsi fino in fondo e celando troppo spesso la sua anima dietro l’orpello del virtuosismo tecnico.
“È stata la mano di Dio” e il cinema come seduta spiritica
È stata la mano di Dio è la dichiarazione di fiducia più commovente sul potere del cinema come seduta spiritica e magica illusione, luogo delle ombre che si rifanno materia. D’altronde, se non è “solo un trucco” come le giraffe, potrebbe essere tutto un gioco, dagli scherzi telefonici alle arance in aria fino al mascheramento dell’orso, con la voce di Fellini a regolare il battito di un cuore squarciato dalle parole furibonde di un altro maestro, Antonio Capuano, che sul ciglio del mare che bagna Napoli mette in guardia sulla trappola della speranza.
“È stata la mano di Dio” e il pudore di Sorrentino
Con È stata la mano di Dio, Sorrentino riesce a sventare i pericoli che all’annuncio del film potevano sembrare porsi di fronte al progetto (ovvero che il suo cinema si mangiasse l’autobiografia in un eccesso di autoreferenzialità o viceversa in una perdita di autorialità). Restituendo così un affresco compiuto che riesce a trovare un preciso punto di incontro tra il suo cinema e la sua storia personale. Intimo, ma mai patetico, mai facilmente drammatico. Non solo per scelta quanto anche unicamente per pudore, fragilità. E questo è il delicato tocco umano di Sorrentino che a ogni picco emotivo smorza, devia e cambia direzione con un incredibile rispetto nei confronti di sé, della sua storia, quanto del suo pubblico.