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“L’Impero” di Dumont, poema eroicomico per immagini
Più che meritato Orso d’argento alla Berlinale, L’Impero è un oggetto filmico non identificabile. Come in anni recenti hanno fatto The Grandmaster di Wong Kar-wai per le arti marziali o La ballata di Buster Scruggs dei Coen col western, si tratta di un film che, sfondando allegramente le distinzioni tra i generi e le regole dell’industria, insieme alle aspettative della critica e le abitudini del pubblico, scombina tanto l’esperienza cinematografica contemporanea quanto ogni legittimità della sua interpretazione.
Speciale “France” – La televisione è il messaggio
Così come il programma televisivo è tutto costruito intorno a lei, France è anche l’immagine del film stesso. E se può sembrare che Dumont crei una distanza tra i due media – sia da un punto di vista morale che linguistico – in verità, nella continua finzione, nel ritorno degli sguardi in camera della Seydoux e dei primi piani, sembra quasi che il film appartenga alla protagonista, intitolato col suo nome, come uno dei suoi servizi televisivi. Ed è ancora la forma che prevale sul contenuto, ma se per la TV è la via per raggirare la realtà, per il cinema è manifesta invenzione.
Speciale “France” – Bruno Dumont e la società delle immagini
Con la sola presentazione del personaggio e del suo ambito lavorativo, Dumont mette in scena la società delle immagini francese, e per estensione occidentale, che crea icone persino nel giornalismo e si compone di circhi mediatici che si nutrono di fama, audience e spettacolarizzazione, dai quali è impossibile sottrarsi. D’altronde il cognome di France è de Meurs, che si pronuncia allo stesso modo di mœurs (traducibile con “i costumi”), chiudendo il cerchio nominale del riferimento alla Francia e alle sue abitudini sociali.