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La poetica della diversione. Ancora su “Tromperie – Inganno”

Desplechin sembra aver messo in pratica l’idea che Truffaut esprimeva nel 1957 sul “film di domani”, nel suo sprezzante articolo Le cinéma français créve sous les fausses légendes che sosteneva l’impellenza di un nuovo modo di fare cinema, ancora più personale, individuale, autobiografico di un romanzo, come una confessione, un diario, un atto d’amore. Il regista scandaglia i recessi della scrittura intima di Philip Roth, componendo una sarabanda di dialoghi in cui le donne dello scrittore si raccontano attraverso un’inesorabile ipnosi verbale al quale ci si abbandona come fosse una sacrale confessione sulla vita e sull’amore.

L’inganno dell’uomo che amava le donne. “Tromperie” e il kammerspiel della conversazione

Tromperie – Inganno è un incastro di appassionate conversazioni in interni fra Philip, scrittore ebreo di New York e cinque donne reali e immaginarie, amate, sposate, scrutate e ascoltate su differenti piani di finzione sovrapposti. La moglie, l’amante, la studentessa, la ex e l’amica: con ognuna argomenti diversi, dalla passione al matrimonio alla maternità, dal mestiere di scrittore alla politica, dal lavoro alla salute, fisica e mentale. Tutto o quasi in una stanza, sia essa quella di casa o dello studio dell’autore, di un caffè o di un ospedale, un attimo prima di tornare fuori, a vivere davvero.