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Moltitudini, split screen e visioni impossibili

In queste ultime settimane di uscite cinematografiche, lo split screen sembra essere tornato come accorgimento stilistico prediletto. Non sono pochi i film che ne hanno fatto uso. Se si pensa a qualche titolo, Vortex e Omicidio nel West End sono i primi due che saltano alla mente e, seppur diversissimi, riescono a dirci qualcosa sul cinema contemporaneo. La differenza principale tra i due film sta nella giustificazione della scelta stilistica. Se da un lato Omicidio nel West End sceglie lo split screen per imporre un’identità, che guarda molto alla commedia autoironica di Wes Anderson, Vortex invece mette in campo una vera e propria riflessione sul dispositivo.

“Vortex” di amore e di morte

A differenza di vari film di Noè, da Enter the Void a Climax, dove tutto era pregno di un iperrealismo nella forma e nel contenuti, qua siamo agli antipodi, poiché Vortex è una sorta di cinéma-vérité, un cinema verista, senza mediazioni, quasi documentaristico, per certi versi accostabile a certi film della Nouvelle Vague francese; motivo per cui, non è forse un caso che l’attrice protagonista sia la Lebrun, quella de La maman et la putain di Jean Eustache, e icona del cinema francese degli anni d’oro. L’attore che impersona il marito è invece Dario Argento, cioè il re del brivido, colui che al cinema ha spettacolarizzato la morte come forse nessun altro.