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Saper vedere oltre. “Trap” e il cinema elusivo di Shyamalan

Trappole, segni, storie dentro ad altre storie, protagonisti dichiarati e nascosti, in una poetica che mette insieme uno sguardo lucidissimo sul mondo che ci circonda e un lavoro di costante rimaneggiamento di codici e meccanismi di funzionamento dei generi cinematografici. Il cacciato diventerà cacciatore, ridiventerà cacciato per poi nuovamente cacciare, in un susseguirsi di ribaltamenti di fronte che sono lo specchio rotto di una realtà troppo complessa per essere rinchiusa, incasellata (intrappolata?) in ruoli codificati.

“Bussano alla porta” e il dilemma dell’ambiguità

Con Bussano alla porta (2023), adattando un romanzo di Paul G. Tremblay, Shyamalan opera sull’immaginario biblico. È quindi un film che per tutta la sua durata lavora tanto con il simbolismo e l’allegoria, con diversi gradi di intensità: talvolta la derivazione biblica è appena suggerita, altre volte sono le immagini e le parole dei personaggi ad esplicitare che ciò che stiamo vedendo è una lettura in chiave moderna di narrazioni più antiche e radicate.