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“Il caso Mattei” di Francesco Rosi tra i gangli del potere

Con Il caso Mattei lo stile di Rosi raggiunge l’apice del verismo, trasformandosi in una sorta di cinéma vérité, magistralmente unito a una narrazione lucida, serrata, accurata e ricca di pathos. La sceneggiatura affianca infatti a tutta la parte con Volonté (che è comunque quella maggioritaria) le indagini successive alla sua morte, e ritaglia anche uno spazio per lo stesso Rosi, che entra in scena come attore nel ruolo di se stesso: nel ruolo cioè di un regista che sta facendo ricerche sulla vita e la morte di Mattei, creando una sorta di piacevole cortocircuito fra cinema e documentario, in una molteplicità di linguaggi cinematografici; c’è ad esempio anche un discorso di Ferruccio Parri, e gli attori professionisti si affiancano a personaggi nei panni di loro stessi.

“La classe operaia va in Paradiso” e il lavoro della sceneggiatura

La classe operaia va in paradiso è il secondo atto della così detta ‘trilogia del potere’, iniziata con Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) e che si conclude con La proprietà non è più un furto (1973). Rappresenta inoltre lo zenit del sodalizio Pirro/Petri/Volonté; una sinergia di grandi talenti ma dai caratteri estremi, come per certi aspetti sono stati gli anni della contestazione. In Il cinema della nostra vita, Pirro ha dichiarato che “fu proprio il titolo a ispirare la scena finale, allorché alla catena gli operai sognano senza illusioni il loro paradiso. Nessuno fra quanti presero parte al film e tanto meno la critica colse il significato di quella scena, così disperata e premonitrice”.

Chiedi chi era Giuseppe Ferrara

La giuria del Festival di Berlino del 1987 assegnò l’Orso d’argento per il miglior attore a Gian Maria Volonté per Il caso Moro (1986), ricostruzione dei 55 giorni di sequestro dello statista democristiano. Unico italiano in concorso, il film godeva del carisma del mimetico protagonista – inattivo da tre anni, già ipotesi di Moro in Todo modo un decennio prima – e, nel raccontare uno degli eventi più traumatici degli anni di piombo con padronanza dei dati, suscitò molte polemiche nell’arco costituzionale. Tutto ciò per dire che il regista Giuseppe Ferrara non era né un auteur da festival (Berlino resta un unicum) né troppo amato in patria (i suoi film sono stati sequestrati, ritirati, censurati…).