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Tarkovskij oltre il documentario: “Tempo di viaggio” al Cinema Ritrovato 2020

L’inserimento della pellicola nella sezione “Documenti e documentari” non ne costituisce una categorizzazione stretta nel mondo documentarista, proprio a cagione di un’insofferenza del nostro verso i codici dei generi, criticati da una prospettiva che tuttavia ha poco da spartire col paradigma postmodernista. Tarkovskij non pone infatti il superamento dei confini del genere nell’ottica di una divisione temporale tra un “vecchio cinema” e una nuova vulgata postmoderna: è la sua stessa concezione dell’arte, fin dagli esordi, ad imporre il travalicamento dall’angusta dimensione del genere, i cui tratti caratteristici devono sfumare in funzione dell’universalità del contenuto. Tale proposito artistico viene esplicitato proprio in Tempo di viaggio dallo stesso regista, che vide il suo Stalker come la più compiuta realizzazione di tale intento.

Il suono del kairos e il segreto della campana

Secondo Tarkovskij l’artista deve farsi servo dell’assoluto e condividerne la rappresentazione, senza alcuna glorificazione finale. Teurgia a parte, la riflessione del regista si lega alla prima avanguardia, che nelle sue varie formulazioni mirava a stimolare una sorta di completamento del film da parte dello spettatore. Per indurre una reazione autentica da parte di chi osserva, per Tarkovskij bisogna prescindere dalle convenzioni stilistiche, che equivalgono a pregiudizi, proprio come avviene in Andrej Rublëv, in cui etica ed estetica si compenetrano. La specificità del mezzo cinema deve consistere in una vera e propria scultura del tempo (in un certo senso nella sua cattura fattografica all’interno dell’inquadratura), con tutte le implicazioni filosofiche che ne derivano. Si potrebbe dire che con l’avvio della campana, a sua volta metafora di un’icona, Andrej Rublëv arriva persino a simulare l’esperienza della rivelazione divina

Ritratto dell’artista da giovane: “Il rullo compressore e il violino”

Tarkovskij mostra già curiosità verso molti elementi che poi diventeranno prototipici della sua visione, e dunque filma con stupore innocente i vetri, gli specchi, gli impercettibili bagliori nell’aria, le lievi increspature nell’acqua delle pozzanghere, l’invitante consistenza dell’asfalto fresco. Solo uno sguardo un po’ più interessato del dovuto, niente di preoccupante. La sua dirompente forza stilistica, che lo avrebbe condotto a un aperto dissenso col regime sovietico, sarebbe maturata di lì a pochi anni. Il rullo compressore e il violino resta un piacevole ritratto dell’artista Andrej Tarkovskij da giovane.