Durante il festival Visioni Italiane è stato presentato il documentario Le Vietnam sera libre (2018) di Cecilia Mangini e Paolo Pisanelli, un’occasione unica per vedere il reportage realizzato dalla Mangini in Vietnam nel 1964-65. Queste fotografie, spiega Cecilia, sono state dimenticate, nascoste quasi consciamente perché i dolori si rimuovono, l’amarezza di un’occasione perduta, rinunciare a un film sul Vietnam a causa dell’intensificarsi dei bombardamenti americani che costringe lei e il compagno, di strada e di vita, Lino Del Fra ad abbandonare il progetto dopo il ritorno in Italia.

Le Vietnam sera libre era il titolo del soggetto, scritto anche in francese perché l’intenzione era quella di mostrare il documentario ad Hanoi, questa è una costruzione a posteriori, scaturita dal rinvenimento di due scatole di negativi e provini che non erano stati utilizzati e con gli anni dimenticati, fotografie che testimoniano l’attività della Mangini, un talento in parte dimenticato: alcuni suoi scatti circolavano ma era conosciuta soprattutto come documentarista (altri materiali sono consultabili nell'omonimo Fondo). Con queste immagini Cecilia rievoca il ricordo della guerra colonialista, dopo quella francese anche quella americana, il suo rapporto con la guerra, quel rifiuto definitivo della violenza e del militarismo; ancora le rincresce di non aver fatto quel film, è stato una perdita, un grande dolore, sì, il Vietnam ha vinto però il film non è stato fatto!

Recentemente sono state ritrovate altre foto, questo resta l’ultimo reportage di Cecilia, il più cospicuo, circa un migliaio di scatti; altri materiali riaffiorano dai cassetti e dalla sua memoria, una lettera scritta da Cecilia e Lino a Ho Chi Minh e i loro diari personali, questo documentario è solo un assaggio, il primo tassello di una versione più lunga in cui i ricordi lacunosi si moltiplicano e forse sarà quello, a più di cinquant’anni di distanza, il film rimpianto e tanto agognato.

L’aggressione degli Stati Uniti al Vietnam del Nord ha scatenato reazioni di protesta in tutto il mondo, anche in Italia; in Vietnam Cecilia e Lino restano quattro mesi, avevano proposto di fare un film documentario sulla guerra antimperialista e anti-americana, per questo erano andati nel Vietnam del Nord, arrivati finalmente ad Hanoi, paese con un odore particolare, di spezie e di erbe, da lì partono per una serie di sopralluoghi in tutto il paese e con la macchina fotografica lei registra quello che ritiene sia visivamente importante per il film. Il Vietnam è un paese “visualizzabile”, da un punto di vista fotografico è l’insieme delle meraviglie, con una macchina fotografica a pozzetto che consente di fotografare con una certa discrezione, Cecilia ritrae anche i soldati feriti che hanno perso una gamba al fronte, per questa foto viene portata in commissariato, i vietnamiti rifiutavano di essere delle vittime: “Resistenti sì, combattenti sì, vittime mai!”

Questo era un popolo che non si piegava, d’altronde loro si erano già ribellati alla colonizzazione francese sconfiggendoli molto duramente, un popolo per cui esisteva la resistenza, la durezza del combattimento che si affrontava con serenità: “Guardate la vita e il lavoro di questi contadini, nelle loro risaie, nei loro villaggi… ma ecco che, da un bosco di bambù poco lontano, come cresciuto dalla terra, c’è un cannone antiaereo. (…) E guardate questi innamorati che chiacchierano tra loro, su questa panchina in un giardino pubblico di Nam Dinh, la guerra sembra talmente lontana… È una scena che potrebbe svolgersi a Roma, a Pechino, o anche a Parigi, ma perché lo schienale di questa panchina è sfondato?”

Nell’articolo Le caste guerriere del Vietnam firmato da Cecilia e pubblicato su “Noi donne” assieme ad alcune sue fotografie, l’autrice racconta la fierezza delle donne vietnamite di essere armate e combattenti, di essere la garanzia che il Vietnam sarebbe stato libero con la loro forza, erano donne militanti! È molto importante il contatto con questa gente per comprendere lo spirito che animava il Vietnam, l’eroismo e la determinazione di sconfiggere la potenza americana. Le donne sono in un certo senso le protagoniste, esiste un orgoglio non ostentato ma tangibile, una vera e propria mobilitazione femminile. Il paese era in guerra, tutti erano in guerra, le donne erano in guerra alla pari con gli uomini, da loro dipendeva dare gli allarmi, da loro dipendeva sparare contro i serbatoi degli aerei americani.

Quando Cecilia decide di fotografare le operaie della fabbrica tessile di Nam Dinh, loro la fanno attendere: “Vanno via di corsa. Aspetto che tornino con il vestito buono, della festa, ed eccole qui, davanti a me, con casco, bandoliera, fucile, borsetta del pronto soccorso”.  Che fine ha fatto quel Vietnam? Nel documentario Nimble Fingers (2017) di Parsifal Reparato, mostrato a Visioni Italiane in questi giorni, protagonista è la quotidianità, le condizioni di lavoro spaventose, di alcune giovani operaie che abitano nel Parco Industriale di Thang Long alla periferia di Hanoi.

Cecilia spiega che hanno provato a mettersi in contatto con l’ambasciata vietnamita ma è stato impossibile, il Vietnam è diventato un paese globalizzato e se ne frega di tutto il resto, anche di un popolo che ha combattuto così eroicamente, e l’Italia ha ben poco da dire contro il Vietnam di oggi vista la situazione politica attuale, un paese, il nostro, nel quale si tollera che si parli di sovranismo e questo non è altro che sinonimo di fascismo, quel “fascismo eterno”, citando il libro di Umberto Eco, differente nella forma ma non nel contenuto: “Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai. Che sia questo il nostro compito: ‘Non dimenticate’”. Eco chiude il suo discorso con una poesia di Franco Fortini, lo stesso che scrisse il commento per il documentario All’armi siam fascisti! (1962) realizzato dalla Mangini, Del Fra e Lino Miccichè.

Cecilia non è solo la voce narrante di Le Vietnam sera libre, una presenza che abita le stanze della sua casa romana e di una memoria in parte perduta: “La fotografia recupera il tempo, recupera lo spazio, recupera le sensazioni, recupera tutto…”. Il pavimento del salotto è cosparso di libri, alcuni sono raccolti in casse da frutta, i titoli scorrono davanti ai nostri occhi, Quale Cina dopo la rivoluzione culturale?, Ali di Mishima e Camminare e disobbedire di Thoreau, Custoza (1866), Storia dell’intolleranza in Europa, Storia dei servizi segreti  in Italia, Stella rossa sulla Cina, Le Sud Vietnam sur le chemin de la victoire, L’America in preda al Vietnam etc…

Resistenza, riscatto, ribellione e ritualità del quotidiano sono le parole chiave del cinema documentario di Cecilia Mangini, scorgere tra gli oggetti cari alla regista, nascosta tra cimeli e i ricordi di paesi lontani una marionetta di Pinocchio, non è altro che un’ulteriore conferma di uno sguardo libero e disincantato, e il personaggio di Collodi, così simile al bambino da “rieducare” de La briglia sul collo (1972), è forse l’antenato più prossimo ai protagonisti della sua filmografia dove è la marginalità dell’esistenza ad essere riscattata.