PASOLINI: Senti eh, guagliò, come nascono i bambini, lo sai? Come sei nato tu, non lo sai? Non lo sai?

1° BAMBINO: Uno zio mio.

PASOLINI: Eh? Uno zio tuo – sei nato… T’ha portato uno zio?

2° BAMBINO: A me mi ha portato la cicogna.

PASOLINI: E tu? Come sei nato?

3° BAMBINO: Sono nato sotto ‘e cuperte.

 

Comincia così il film-inchiesta del 1963 che fa, di Pier Paolo Pasolini, una specie di commesso viaggiatore in tour da Nord a Sud dello Stivale e venditore di sondaggi antropologici utili all’educazione sessuale degli italiani. Il risultato è una straripante concretezza visiva. Dalle strade di Napoli, alle spiagge toscane e borghesi, da un cortile di Palermo al Lido di Venezia, “color che sanno”, quelli che avrebbero dovuto spiegare al pubblico le differenze tra i sessi, l’omosessualità, le perversioni, la vita matrimoniale, la prostituzione e le case di tolleranza messe al bando con la legge Merlin, non sono più gli intellettuali Moravia, Ungaretti e Musatti (peraltro presenti nel film) ma i tanti uomini e donne, adulti e bambini, contadini e universitari interrogati con Arriflex e registratore.

“Bisogna chiarire l’odio in comizi d’amore”, è la frase in chiusura di un finale poi scartato, tratta dal primo romanzo dello stesso autore Il sogno di una cosa (1962). Da qui deriva il titolo definitivo di questo documentario che ha tutti i connotati del francesissimo “Cinéma-vérité” e che in Italia, per la prima volta, incappa “nell’intelaiatura PPP”: politica, pellicola, poesia. Spinto a tentare le forme espressive con una voracità capace di regnare anche sul favoloso mondo della celluloide, il poeta “corsaro” si ispira al documentario dell’antropologo Jean Rouch e del sociologo Edgar Morin, Chronique d’un été. Un’indagine, la loro, sulla concezione della felicità nei quotidiani parigini, un modo quello di Pasolini per spiare, invece, il cupo conformismo della borghesia italiana che si manifesta con riposte vuote: l’ignoranza per paura. Di questo, egli sa. Ha prove e indizi.

“Non si può apprezzare il documento se ci si interessa di più a ciò che viene detto rispetto al mistero che non viene pronunciato", scrive Michel Foucault in un breve testo apparso su "Le Monde" del 23 marzo 1977 dedicato a Comizi d’amore. Mistero che attrae Pasolini e lo porta a spingersi nel gioco di chi si scandalizza di più tra i benpensanti e tra gli “alzi la mano” a chi è androcentrico. Bisogna bruciare per arrivare consumati all’ultimo fuoco. Il regista del Vangelo secondo Matteo, si rivolge allora a Moravia, domandandosi qual è l’Italia vera che emerge dalla sua inchiesta. Ungaretti, serafico, tranquillizza il collega su “l’anormalità” degli uomini per natura.

Solo l’ultimo atto di questo prezioso manifesto antropologico mette tutti d’accordo in silenzio assenso, un rito antichissimo, il sacro diritto al matrimonio, l’unico che può accogliere l’amore anche se mente. L’unico diritto che si può pretendere, anche se in coda, nell’Italia degli anni Sessanta, ce ne sono altri. Ogni diritto è crudele. Lo era l’aborto per Pasolini, ma noi lo perdoniamo.