Con Diabolik – Chi sei?, il terzo capitolo della trilogia  dedicata al mitologico personaggio di fumetti nato dalla genialità di Angela e Luciana Giussani negli anni 60 (ispirato agli antieroi della letteratura rocambolesca capeggiata da Rocambole di Ponson du Terrail e soprattutto al  Fantomas di Allain e Souvestre), i Manetti Bros concludono la saga del re del terrore con uno stile cinematografico sofisticato e orgogliosamente vintage ancora una volta fortunatamente distante anni luce dall’universo ipercinetico della Marvel.

Nello specifico si tratta della trasposizione cinematografica dell’albo numero 107, pubblicato dall’editrice Astorina fondata da Angela Giussani, uscito nelle edicole nel marzo del 1968 che narra la storia delle origini e le prime esperienze di Diabolik.

Se l’intera trilogia costituisce un’esperienza visiva singolare e seducente per l’uso sapiente del colore (strumentale a ricreare le atmosfere noir) e per il rigore filologico nel trasporre sullo schermo l’eleganza stilizzata delle tavole originarie, nell’ultimo capitolo i Manetti Bros abbandonano parzialmente la scelta stilistica di aderire alla fissità grafica dei fumetti che in qualche modo congelava l’azione nei due film precedenti (Diabolik e Diabolik - Ginko all’attacco), e sviluppano la diegesi del film su più linee narrative, mischiando registri stilistici ed epoche differenti.

L’incipit di Diabolik – Chi sei? è uno splendido viaggio a ritroso nel tempo negli anni 70, un omaggio alla golden age del cinema di genere made in Italy, al giallo e al poliziesco all’italiana, dove per restituire le dinamiche movimentate e iperattive della rapina ad opera di spietati criminali nella immaginaria città di Clerville i Manetti Bros fanno ricorso ad un montaggio frenetico con ampio uso del jump cut e ad ampie citazioni alle ambientazioni urbane del primo Diabolik del 1968 di Mario Bava.

Diabolik (Giacomo Giannotti) vuole accaparrarsi il bottino e l’ispettore Ginko (Valerio Mastandrea), l’eterno rivale, prova ad intuirne le mosse: entrambi raggiungono il covo dei rapinatori ma vengono catturati e incatenati insieme in una stanza, in attesa di essere uccisi. Ginko chiede a Diabolik chi sia davvero e una serie di flashback girati in rigoroso bianco e nero, giocando con un immaginario che evoca gli anni ’40, mostrano la storia delle sue origini.

Sarà il magnifico sodalizio tra Eva Kant (una magnetica Miriam Leone) e la misteriosa contessa Altea (la diva Monica Bellucci) amata da Ginko, a determinare con un intervento salvifico il destino dei loro rispettivi compagni, trasmettendo un messaggio di empowerment delle protagoniste femminili che le sorelle Giussani avrebbero sicuramente applaudito.

Perché in questo capitolo finale più che il film di Diabolik, questo è il film di Eva Kant, l’unico personaggio femminile dei fumetti inventato da due donne proto-femministe negli anni ’60 ad avere un indole così evoluta, ispirata nell’aspetto e nel portamento a Grace Kelly, che per l’abito del crimine ricorda Musidora, destinata a diventare l’inseparabile compagna sulla scena del crimine e nella vita di Diabolik.