Luis Buñuel era attratto dall’oscurità quando cominciava a dare vita ad un personaggio: “Se si tenta di costruire un personaggio in modo troppo razionale, il personaggio non prende vita. Deve esserci una zona grigia”. E l’Arcibaldo De La Cruz di questo film messicano del 1955 ne è l’esempio lampante. Un uomo dai molteplici turbamenti provenienti dall’infanzia che si convince di essere il responsabile della morte di svariate persone al punto da consegnarsi alla polizia. Il tutto comincia quando era bambino e tra le strade di Città del Messico imperversava la rivoluzione, i genitori gli regalarono un carillon per farlo stare buono e andare a Teatro e la governante gli raccontò che il carillon era appartenuto ad un re e il suono che emetteva era in grado di uccidere i suoi nemici. Poco dopo un proiettile vagante colpì e uccise la donna, che si accasciò a terra con un movimento che sollevò il vestito e le lasciò le gambe scoperte. In quel preciso istante nascono i traumi e i turbamenti di Archibaldo che hanno a che fare con la morte, le donne e la sessualità. Nel corso della sua vita altre volte succederà che donne che aveva desiderato di uccidere moriranno di morte violenta, ma non per sua mano.

Buñuel mette assieme quello che è considerato uno dei momenti più felici della sua filmografia messicana nel tentativo di apportare una forte critica nei confronti della borghesia del periodo, ma in generale delle istituzioni e del cattolicesimo, culto colpevole di instillare quell’ipocrita senso di colpa che porterà il protagonista a considerarsi unico responsabile dei decessi delle donne. Ma oltre al senso di colpa in Arcibaldo si annida la frustrazione di non essere in grado realmente di uccidere (sarà in grado solamente di bruciare il manichino fatto a immagine e somiglianza di Lavinia, una delle potenziali vittime) e il gesto di consegnarsi può anche essere letto come una rivendicazione di abilità, sessuale e poi criminale, almeno agli occhi della società.

La vicenda si chiude in un finale che in qualche modo fa il verso a un certo cinema statunitense coetaneo, Arcibaldo ritroverà una donna che lo aveva beffato e assieme percorrono un lungo viale alberato: dopo l’assoluzione della polizia l’uomo sembra essersi spogliato dai suoi problemi, o forse sarà l’ennesimo tentativo di vincere le proprie impotenze. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Rodolfo Usigli, (con il quale Buñuel cominciò a scrivere la sceneggiatura, ma poi ci furono divergenze e sembra anche vicissitudini giudiziarie), citato da illustri successori come Almodovar, Truffaut e Alex De La Iglesia e rientra tra i più grandi film messicani di sempre.