“Credo che sia lo schizzo di una donna moderna come ne conosco tante, soprattutto nella società milanese, una donna moderna che dà veramente molta importanza a tutto ciò che è il denaro . . . e non dà peso alle cose veramente importanti”. Così Visconti sul personaggio di Pupe nell’episodio Il lavoro del film corale Boccaccio ’70 (1962) che vede il regista e Romy Schneider tornare a collaborare insieme dopo il trionfo teatrale parigino della commedia elisabettiana Peccato che sia una sgualdrina.

Il commento morale così netto sulla “donna moderna” superficiale viene, tuttavia, sovvertito dal prosieguo del ragionamento del regista, in cui l’episodio viene definito come “la giocosa vendetta morale di una giovane donna innamorata e tradita”. Il declino che viene evidenziato ne Il lavoro, conclude Visconti, riguarda un’intera società e non un personaggio soltanto. Sulla stessa linea la co-sceneggiatrice Suso Cecchi d’Amico, secondo cui, “Au bord du lit”, la novella di Maupassant all’origine dell’episodio, doveva servire “per fare la satira di due personaggi di un ambiente italiano ben preciso”.

Ambientato nel milieu dell’aristocrazia milanese che il regista conosce bene, Il lavoro è incentrato sulla reazione di Pupe quando scopre che suo marito, il Conte Ottavio (Tomas Milian), la tradisce regolarmente con un giro di prostitute. Apparentemente, la donna non si dimostra scandalizzata e chiede anzi al marito di essere trattata come le prostitute che frequenta e di essere pagata per avere rapporti sessuali.

La contraddizione evidenziata nel ragionamento di Visconti diventa il meccanismo stesso alla base della genesi narrativa e formale dell’episodio. Fin dal titolo e dall’ambientazione: “il lavoro” ci farebbe aspettare un’ambientazione industriale e personaggi provenienti dalla classe operaia. Ci ritroviamo invece in un lussuoso palazzo aristocratico. Lo stesso lavoro per cui Pupe chiede piena legittimazione è di tipo sessuale e quindi, generalmente, non considerato come tale o, comunque, non considerato da retribuire dalla gente rispettabile. La richiesta di Pupe, inoltre, non sembra dettata esclusivamente dal suo dare “molta importanza a tutto ciò che è il denaro”: sotto questo aspetto è più il marito ad essere ossessionato dai soldi, consapevole del rischio di perderli tutti per lo scandalo in quanto il patrimonio della coppia è intestato a Pupe.

Più che sull’interesse per i soldi, la richiesta di Pupe verte sul cambiare la sua posizione di donna definita da uomini: i primi dieci minuti dell’episodio, Ottavio e i suoi avvocati non fanno che parlare di come Pupe dovrà comportarsi, senza nemmeno accorgersi che la donna è tornata nella sua camera. La voglia di indipendenza della donna è una minaccia per un mondo che vuole parlare per lei. Un mondo che il Conte Ottavio tiene nelle sue mani nell’edizione tedesca del Gattopardo, esibita come a caratterizzare il personaggio come la negazione dell’eleganza del Principe di Salina e l’incarnazione della mediocrità che il Principe temeva. 

A livello formale, un lungometraggio formato da diversi episodi è già una contraddizione in termini, ma, rimanendo nei confini de Il lavoro, non si può non evidenziare come la forma del kammerspiel scelta per l’episodio sia di impianto profondamente teatrale. Inoltre, se Visconti tende inizialmente a leggere la sua opera come un giudizio morale su un certo tipo di donna moderna, la macchina da presa racconta un’altra storia che si fonda sull’ammirazione per Romy Schneider, colta in tutta la sua luminosità artistica. Le inquadrature sono spesso condivise da Schneider/Milian, con movimenti di macchina a stringere su entrambi a sottolinearne la posizione paritaria. Una delle eccezioni formali suggella proprio la conclusione dell’episodio, con la macchina da presa che coglie una lacrima della protagonista e, in dissolvenza, il particolare dell’espressione amara della sua bocca: emerge così tutta l’umanità di Pupe, al di là di ogni giudizio morale.