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“Il Gattopardo” e il tormento della morte
Nel Gattopardo la morte fa capolino da ogni angolo, a partire dalla prima scena in cui il ritrovamento del cadavere di un soldato interrompe la preghiera collettiva della famiglia Corbera. Sbuca dai degradati vicoli di Palermo che il principe di Salina percorre ogni tanto, come per ricordarsi le forme della realtà. Emerge dalle, seppur pochissime, scene di guerra in cui le camice rosse avanzano per la Sicilia. Una morte che tormenta il protagonista fino alla fine del film.
Episodi di noia in Visconti e Antonioni
L’episodio Anna da Siamo donne, quello francese dei Vinti e Il lavoro da Boccaccio ’70 sono accumunati dal tema della noia. I protagonisti sono guidati, nel loro agire, dalla ricerca di una distrazione. Altro aspetto che accomuna le tre opere è il fatto che tutte sono ispirate a fatti realmente accaduti, pur romanzati per esigenze cinematografiche. Alla sceneggiatura di questi film, inoltre, ha sempre collaborato Suso Cecchi d’Amico.
Sul volto della Magnani la speranza e la disillusione nell’Italia del dopoguerra
Anna Magnani era e sarà sempre Bellissima. Il film diretto da Luchino Visconti sembra esserle cucito addosso. Un ritaglio di vita che supera i canoni del neorealismo, quelli che obbligavano la cinepresa e il pubblico a spiare da una porta accostata l’esistenza altrui; la sceneggiatura a sei mani (Suso Cecchi d’Amico e Francesco Rosi oltre allo stesso Luchino Visconti) dà modo a una protagonista femminile di conquistarsi per intero lo spazio scenico, esaltando non tanto la figura materna, quanto la persona che si cela dietro il ruolo di madre.
“Ludwig” 50 anni fa. Il biopic tra vita, storia e politica
Come Ludwig personaggio rifiuta di essere deposto e vuole decidere per la sua vita, Ludwig il film afferma la sua vitalità artistica. Lo scambio tra vita e film non si conclude qui, e il biopic non è semplicemente su Ludwig ma su Visconti stesso: nella sua identificazione con Ludwig, nobile omosessuale con interessi artistici, ma anche nella sua condivisione di alcuni tratti degli altri personaggi e nell’utilizzo di attori e attrici come Berger, Schneider, Orsini, Mangano, Griem e Asti appartenenti alla sua cerchia.
“Ludwig” e la tradizione del cinema totale
La storia di Ludwig e la letteratura critica che ne sono seguite necessitano di un riassunto. Ecco la formidabile lettura di Peter Von Bagh (“Dopo aver raccontato la transizione dal capitalismo al fascismo e la grande crisi europea che l’ha preceduta, Visconti scende in un ‘crepuscolo degli Dei’: questo è cinema totale, originalissimo e allo stesso tempo nobile e ispirato proseguimento di una grande tradizione”) seguita dalla ricostruzione della storia del film.
“Il lavoro” (di Visconti) e le sue contraddizioni
A livello formale, un lungometraggio formato da diversi episodi è già una contraddizione in termini, ma, rimanendo nei confini de Il lavoro, non si può non evidenziare come la forma del kammerspiel scelta per l’episodio sia di impianto profondamente teatrale. Inoltre, se Visconti tende inizialmente a leggere la sua opera come un giudizio morale su un certo tipo di donna moderna, la macchina da presa racconta un’altra storia che si fonda sull’ammirazione per Romy Schneider, colta in tutta la sua luminosità artistica. Le inquadrature sono spesso condivise da Schneider/Milian, con movimenti di macchina a stringere su entrambi a sottolinearne la posizione paritaria.
“Morte a Venezia” cinquant’anni dopo
Esattamente come l’Adagietto della Quinta di Mahler che lo accompagna, uno schiudersi lentissimo, una luce fioca che dal nero pian piano illumina tutto, così l’assolvenza che apre Morte a Venezia sfuma dal nero dello schermo verso un’alba veneziana che sembra uscita dalle mani di Turner, con un impasto di colori caldi che si disfano uno nell’altro. Percepiamo subito un sorprendente senso di inquietudine sotterranea, insinuante, come se la bellezza di quelle immagini mascherasse un’insidia, un dramma nascosto che ancora non ci è chiaro. Quando la macchina da presa si sposta su Gustav von Aschenbach, seduto sul battello che sta entrando a Venezia, capiamo dal suo sguardo che quell’inquietudine, a cui la musica di Mahler ci stava preparando, è tutta interna al protagonista.
Lo zoom e la storia di uno sguardo
Dopo Morte a Venezia Luchino Visconti aveva l’idea di realizzare una trasposizione cinematografica della Recherche di Proust. E le tracce di questa idea sono già qui molto evidenti nell’evocazione di una dimensione che fin dal principio, attraverso la musica, porta alla malattia e alla morte: vissuta durante l’ultimo sguardo al suo bello. Una visione ravvicinata che fa percepire lo sforzo di Gustav nel voler raggiungere la bellezza che, in un’immagine che è puro cielo e mare, Tadzio possiede. Mentre, all’opposto, dall’ultima immagine, del corpo esanime dell’artista tormentato, Visconti elimina il cielo, lasciando solo il quadro di una terra arsa.
“Morte a Venezia” e la musica
In tutto il film la musica ed i suoni cesellano il senso narrativo e la sfaccettata figura del protagonista: dalle sirene della nave nella sequenza iniziale dell’arrivo a Venezia, che, strappando la quieta tela sonora di Mahler, instillano, con l’ausilio di improvvisi zoom su Bogarde, una opprimente sensazione di disagio, a Per Elisa di Beethoven che, suonata al pianoforte da Tadzio e poi da una prostituta, evidenzia come Gustav cerchi nella seconda un surrogato del giovane amato. E ancora Chi vuole con le donne aver fortuna di Armando Gil, cantata da una grottesca banda musicale nella veranda del Grand Hotel, che suggerisce il lato ridicolo del protagonista, anticipando la maschera patetica in cui si sta per trasformare. È inoltre splendido il modo in cui Visconti riesce, con i suoni, le voci che si accavallano, le diverse lingue, i silenzi ed i rumori di fondo, a raccontare la vita che scorre intorno a Gustav.
“Morte a Venezia” di Luchino Visconti a Venezia Classici 2018
Adattare il riverbero costante di parole, pensieri e lucubrazioni di Aschenbach sullo schermo è risolto da Visconti rendendo il protagonista un compositore, anziché scrittore, ed è opinione diffusa che si sia ispirato proprio a Gustav Malher. Due elementi, infatti, concorrono a rendere così elegiaco, struggente e brutale un dissidio prima esperito attraverso le parole: le musiche e il portamento e la mimica di Dirk Bogarde. Malher sublima il percorso di autodistruzione del protagonista fin dalle prime battute del film, e Beethoven risuona in due parentesi distinte ma speculari: sia Tadzio che la prostituta Esmeralda – vista in un flashback – suonano, in solitudine, Für Elise. Momento rivelatorio in uno spazio e un tempo silenziosi e tesi, dalla carica erotica fortissima, una sensualità che Visconti lascia dispiegarsi solo tramite gli sguardi e una gestualità minima.