Le reazioni a Il racconto dei racconti – Tale of Tales di Matteo Garrone sono a dir poco contrastanti. Mentre a Cannes, il film del regista italiano si gioca le sue chances per i premi finali, in Italia divampa il dibattito critico sul film. In proiezione al cinema Lumière, l’opera viene analizzata, con diversi approcci e differenti giudizi, dai collaboratori di Cinefilia Ritrovata.

Il rosso è il colore che lega La regina, La pulce e Le due vecchie: le storie che compongono il film. Che sia il colore di un vestito, quello di una fulgida chioma o del sangue che scorre copioso, il rosso è un elemento visivo ricorrente nella pellicola di Garrone. Questa scelta chiaramente non è casuale: il rosso è da sempre il colore associato alla passione, nel suo significato più ampio. Un sentimento che il regista mette in scena nella sua forma più estrema: l’ossessione. È infatti questo l’impulso che spinge ad agire i personaggi principali, tutti e tre potenti sovrani e nel contempo schiavi della loro stessa terribile brama. Il desiderio di possesso nelle sue variegate declinazioni – affettivo, materiale e sessuale – ci viene mostrato attraverso le storie di persone che sacrificherebbero qualsiasi cosa pur di raggiungere il loro scopo.

Garrone si serve di raffinate allegorie per tratteggiare, ora con humour nero, ora con pathos, le variegate sfaccettature dei personaggi. Le debolezze dell’animo umano vengono rappresentate dal regista con un ardire quasi crudele: non c’è pietà per questi figuri privi di moralità, tanto da apparire talvolta ridicoli e grotteschi nella loro grandiosa piccolezza. Gli unici in grado di agire perseguendo il bene sono i membri delle nuove generazioni, che affrontano senza timore la meschinità dei “grandi”, lasciando aperto uno spiraglio di speranza per il futuro.

La cornice fiabesca che avvolge il tutto è il vero fiore all’occhiello del film: Garrone è riuscito nell’impresa di coniugare realismo e fantastico in maniera davvero efficace, operazione decisamente inconsueta nel panorama cinematografico italiano. Il racconto dei racconti – Tale of Tales è, da un punto di vista puramente estetico, vero tripudio di scenografie meravigliose, ancor più mirabili considerato che non sono state realizzate in grafica computerizzata. Scenari della Puglia, della Toscana, del Lazio e della Sicilia si imprimono nella mente, riuscendo a creare atmosfere piene di magia e mistero.

Unica nota dolente è non sapere se ci sarà un seguito che mostrerà i destini dei tre sovrani e dei loro compari: si resta sospesi, come l’equilibrista nella sequenza finale.

(Barbara Monti)

 

Ci sono due o tre cose che proprio non riesco a capire di Garrone. L’opera letteraria da cui ha tratto il suo ultimo film è una raccolta di fiabe di Giambattista Basile, Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille: l’intrattenimento dei bambini. Già Basile, dunque, esortava la gente a liberare il proprio fanciullo interiore poiché è solo con quegli occhi che gli adulti del tempo potevano apprezzare le sue storie. Gli stessi con cui noi oggi, mutatis mutandis, ci emozioniamo guardando Guardiani della Galassia. La domanda è: Garrone che occhi ha usato?

Ne Il racconto dei racconti – Tale of Tales pare nascondersi sempre dietro l’angolo una certa timidezza e riluttanza a volersi abbandonare alle atmosfere del fantastico. È un prodotto ben confezionato e dall’intrattenimento valido, senza dubbio, incolla allo schermo per tutte le sue due ore di durata, ma costantemente Garrone pare trascurare il coinvolgimento narrativo in virtù di un inadeguato approccio da cinema d’autore italiano nella sua accezione più negativa. Sembra vergognarsi di star girando un fantasy, quindi cerca di elevarlo. Altrimenti cosa diranno a Cannes?

Ciò che non capisce è che operando una contaminazione senza avere rispetto per la materia trattata, non si ottiene un’elevazione ma un abbassamento. Perché il genere ha bisogno solo di sé stesso per funzionare. Chi non la pensa così solitamente partorisce qualcosa di insincero. E infatti Garrone pare divertirsi talmente poco con draghi, orchi e insetti giganti che preso com’è invece dal voler dare un assetto sofisticato al tutto, si ritrova a trascurare proprio la potenza narrativa, fondamentale nelle fiabe. Ebbene sì, Garrone si scorda di raccontare con un film che si chiama Il racconto dei racconti – Tale of Tales.

Prendiamo il labirinto. Dove finisce la volontà del regista di descrivere ciò che effettivamente vediamo (una madre che gioca a nascondino col figlio) e inizia quella di pompare il segmento per cercare di renderlo più di ciò che è (le riprese insistite sul volto di Salma Hayek, i pianisequenza dentro i corridoi)? La mano è pesante, inopportuna, deve rendere il tutto vagamente onirico perché è insofferente all’idea che in quella scena narrativamente accadano ben poche cose, non lo può sopportare.

Ma che male c’è a raccontare un’avventura? Che problema ha Garrone con le regole e le caratteristiche proprie del genere? Perché non ripone fiducia nella forza dei suoi elementi? Ne La storia infinita di Wolfgang Petersen quando il giovane Atreyu vede morire il suo cavallo Artax nelle paludi della tristezza, la scena non è toccante solo perché sappiamo della loro amicizia ma perché la vediamo attraverso la disperazione di chi non può far nulla per salvare un proprio amico. Il compito del fantastico finisce qui, poi lascia che sia tu a vederci quello che vuoi. Ma prima deve raccontare. E deve farlo bene. Con Garrone invece le tales che compongono il tale sono sospese a mezz’aria. È tutto così fastidiosamente non chiaro che uscendo dal cinema non ci si pone domande sui significati ma sulla coerenza narrativa, il peggio che può capitare con un’avventura.

Curiosamente in una recente intervista Garrone ha detto che questo «è un film che nasce senza voler dire di più di quello che ho cercato di fare, e cioè di intrattenere, di far passare due ore piacevoli». Se è così lo voglio tra i favoriti per il prossimo Fast and Furious.

(Brando Sorbini)

 

“È del poeta il fin la meraviglia

(parlo de l’eccellente, non del goffo):

chi non sa far stupir, vada a la striglia”

(Gian Battista Marino, 1619)

Alla famosa striglia di cui parla lo scrittore secentesco Gian Battista Marino di certo non ci dovrebbe andare Garrone, perché il suo ultimo lavoro è davvero una meraviglia, nel senso più barocco del termine. Un film che sorprende perché attinge direttamente alla non facile e poco frequentata letteratura del Seicento – e nello specifico all’opera Lo cunto de li cunti o Pentamerone del grande e dimenticato Basile – ma riesce a far riaffiorare, con grande potenza di immagine e di narrazione, temi attualissimi come il desiderio di maternità ad ogni costo, l’ossessione per l’eterna giovinezza e la violenza maschile sulle donne.

Il Pentamerone – che contiene 50 favole raccontate in cinque giorni da 10 vecchie – è pressoché sconosciuto in Italia ma ha ispirato famosi autori di fiabe stranieri, come i fratelli Grimm e Charles Perrault (che da questo ricchissimo testo hanno tratto ad esempio il fortunato personaggio di Cenerentola). Garrone, primo in Italia, lo recupera e, ispirandosi a fiabe che a loro volta attingono alla cultura popolare, riesce ad affondare le mani in quella materia sporca, poco maneggevole ma sorprendentemente affascinante che è la natura umana.

E così tre dei racconti della prima giornata del Pentamerone (La cerva fatata, La vecchia scorticata e Lo polece) diventano i tre episodi (La regina, Le due vecchie e La pulce) attorno ai quali si dipana il film. Protagonisti: una regina cattiva che sacrifica tutto e tutti per avere un figlio, due vecchie sorelle alle prese con l’ossessione della giovinezza e con un re lussurioso, e la figlia coraggiosa di un monarca dissennato che la costringe a sposarsi con un orco. Ma gli episodi vanno oltre i simboli e le vicende dei loro personaggi principali toccando temi universali come l’egoismo, la solitudine, l’inganno, l’amicizia, il coraggio. Il tutto filtrato dalla lente barocca che legge la vita attraverso i temi del brutto, del deforme, del grottesco, del macabro, del magico. I continui riferimenti artistici non sono però solo quelli poetici e letterari del Seicento, ne Il racconto dei racconti – Tale of Tales trovano posto, come in un coloratissimo caleidoscopio, anche richiami alla pittura di Caravaggio, di Goya, dei preraffaelliti e alle immagini di Jules Verne e di Georges Méliès.

Oltre che della grande capacità narrativa e introspettiva di Garrone e della sua sensibilità figurativa e pittorica (da non perdere i titoli di coda sui quali scorrono i bellissimi bozzetti preparatori), il film gode di suggestive scenografie e di spettacolari costumi seicenteschi curati nel minimo dettaglio. E la fotografia di Peter Suschitzky gioca con una luce materica che fa uscire dallo schermo e ci imprime nella memoria il rosso fuoco di mantelli e cuori sanguinanti, il verde cupo di foreste fatate e lo spento lucore di sghembe gorgiere di perle.

Immerso in tutto questo materiale ad alto peso specifico, Garrone – come nella bella scena allegorica del funambolo che cammina sul filo infuocato – corre il rischio del difficile se non impossibile equilibrio ma alla fine ne esce vincitore, regalandoci un film sorprendente, esteticamente ipnotico, innovativo e originale, che nasce dalla cultura italiana e di questa si nutre ma che sa guardare oltre, con respiro internazionale e giustamente ambizioso.

(Lorenza Govoni)