Come altri autori e film del periodo (1948) a La città nuda e al suo regista non fu riservato un trattamento troppo dolce. Jules Dassin fu uno di quei registi la cui carriera venne pesantemente condizionata dal maccartismo e dalla conseguente caccia alle streghe, mentre il film non andava troppo a genio al produttore, Mark Hellinger, che decise di metterci mano e rimontarlo, danneggiandolo a parere di molti. Probabilmente si deve a questo intervento esterno la voce narrante, che da più parti critiche è stata considerata il punto debole di un film che sarebbe potuto essere un grande capolavoro. Alla visione odierna sembra invece che la scelta di utilizzare un commento esterno e onnisciente riesca a conferire ulteriore particolarità alla pellicola, in quanto a volte pare fungere da coscienza dei personaggi, consigliando la strada migliore da percorrere. Questa voce spesso sarà ignorata dai personaggi, regalando un lato ironico alla narrazione.
Ci troviamo di fronte ad un’opera che parla di un crimine, di una indagine singola che però si erge a simbolo di tutti i delitti che avvengono in una città grande e complicata quale è la New York City degli anni ’40, infatti “Ci sono otto milioni di storie nella città nuda”, afferma perentoria la voce narrante di questo film intenso e spettacolare, “e questa è una di esse”.
E tratta di una modella, Jean Dexter, la quale viene assassinata nel suo appartamento, delle conseguenti indagini che sveleranno la vita movimentata della donna e gli intrighi che contribuiranno a rendere più fitto il mistero. L’originalità del film sta nel fatto che Dassin decide di abbandonare le ricostruzioni in studio proprie dei film hollywoodiani del periodo e di scendere in strada con la macchina da presa rendendo in questo modo New York, la città nuda del titolo, reale protagonista della narrazione e non solo sfondo scenografico. Tale scelta, assieme alla già citata voce narrante conferisce al film elementi dal taglio documentaristico e permette a Dassin di mostrare i differenti volti di New York.
Memorabile è la sequenza finale, un inseguimento teso e dinamico che attraversa diversi luoghi e persone per terminare tragicamente su uno dei ponti che collegano le isole dell’immensa città, New York torna a vedersi dall’alto (dopo la sequenza iniziale) in tutta la sua grandezza, sottolineando una volta di più la subordinazione dei personaggi e la sua centralità nell’economia filmica. Vincitore di due premi Oscar nel 1949, per la miglior fotografia e il miglior montaggio, porta in sé influenze neorealiste, vicine al cinema di Rossellini. Negli anni ’50 ispirò una serie televisiva americana, La città in controluce (ma in originale mantenne il titolo Naked City), che andò in onda per 4 stagioni dal 1958 al 1963, trattando vicende criminali nella grande mela e mantenendo il taglio stilistico del film di Dassin.
Un film figlio di un grande cinema e a sua volta capace di ispirare le produzioni a venire, il cui restauro ha avuto un processo non semplice, ma perfettamente riuscito, come testimoniano i circa 2 milioni di fotogrammi visti a Venezia grazie al lavoro della TLEFilms - Film Restoration & Preservation Services.