Il progetto de Il colore del melograno (1969) di Sergei Paradzanov poteva non sembrare, ad una prima lettura, così distante dai requisiti ideologici sovietici come, invece, si rivelò essere in modo dirompente il prodotto finale tanto da impedire al regista di girare film per i quindici anni successivi. Il film segue di pochi anni le celebrazioni dei 250 anni della nascita del poeta armeno settecentesco Sayat Nova, i cui componimenti sono stati scritti in armeno, azero e georgiano. Per questo, il protagonista del film di Paradzanov poteva essere il simbolo di quella fraternità tra i popoli e di coesistenza culturale tra le diverse repubbliche sovietiche care alla retorica autorizzata dal Politburo. In mano a Paradzanov, tuttavia, il progetto diventa una celebrazione surrealista della libertà artistica, in cui diversi registri espressivi come il cinematografico, il fotografico, il pittorico, si confondono per narrare immagini senza parole. Un collage di miniature, immagini bidimensionali, oggetti di riti liturgici e del folklore locale che ha ispirato i pastiche pop di Madonna e Lady Gaga, rispettivamente per i video di Bedtime Stories (1994) e 911 (2020).

Scordiamoci, quindi, le convenzioni del biopic: la vita del poeta Sayat Nova, il suo infelice amore per la regina Anna e il suo vivere itinerante fino alla morte sono resi attraverso una serie di tableaux vivants che non contengono tanto informazioni e avvenimenti della vita del poeta quanto oggetti artistici e religiosi, tessuti, architetture locali, colori, costumi tradizionali che costituiscono una narrazione sull’arte più che sull’artista. O, se di artista parliamo, più che di Sayat Nova, entriamo nella poetica anarchica di Paradzanov, in cui il significato è sempre instabile. Siamo, quindi, nel campo del “poetico” più che del “prosaico”, per citare la distinzione di Viktor Sklovskj, grande ammiratore del regista: ogni inquadratura non contiene un’informazione supplementare rispetto alla precedente ma costruisce una rete simbolica di oggetti che ci portano all’interno di una visione dove non ci vengono dati referenti stabili per decifrarne il significato. La linearità cronologica si trasforma in coesistenza delle diverse età del poeta, la cui stessa identità maschile ed etnica è confusa dal fatto che, in diversi tableaux, il poeta armeno è interpretato dall’attrice georgiana Sofiko Ciureli, confusione accentuata dal fatto che Ciureli incarna altri personaggi, maschili e femminili, nel film.

Allo scandalo di una donna georgiana che interpretava un poeta armeno, fatto fortemente osteggiato dalla produzione, si aggiunse anche l’accusa di “formalismo” e di mancanza di un chiaro messaggio per le masse popolari: un film, quindi, contenutisticamente e formalmente lontano dai canoni del realismo socialista. Paradossalmente e tragicamente per il regista, sono proprio queste caratteristiche di indeterminatezza di significato, etnia e genere che rendono Il colore del melograno interessante per le variazioni postmoderne di Madonna e Lady Gaga. Entrambi i video contengono espliciti riferimenti al film di Paradzanov. Bedtime Stories ne prende a prestito intere inquadrature (il piede che schiaccia il grappolo d’uva su una scritta in arabo), oggetti e atmosfere. 911 arriva a metterlo in scena direttamente nel finale, che si svolge fuori da un cinema in cui è in corso la proiezione del film, e tutta la narrazione del trance della protagonista è ispirata dalle immagini di Paradzanov.

Entrambi i video sottolineano la perdita di significato delle parole e la fruizione dell’arte ai limiti di una dissociazione psichica. Significativamente, Paradzanov aveva ritenuto un contatto modernista con la realtà da lui surrealisticamente scomposta e rimontata, prendendo a prestito gli oggetti liturgici e artigianali da musei e gallerie a sottolineare il suo intento etnografico. Nel loro ri-utilizzo pop, seguendo Frederic Jameson, questi oggetti perdono ancora di più la loro connessione con la realtà, diventando nei video simulacri di referenti assenti e fluttuanti, evidenziandone la mercificazione nella logica culturale postmoderna del tardo capitalismo.