“Le storie possono ferire e le storie possono guarire”. È da quest’assunto che rivendica il potere del racconto e la sua capacità di intervenire nella vita del lettore-spettatore che si sviluppa Scary Stories to Tell in the Dark, presentato alla Festa del Cinema di Roma e in sala dal 24 ottobre. Dietro l’adattamento dei racconti di paura di Alvin Schwartz c’è l’ombra lunga di Guillermo Del Toro, produttore e autore del soggetto. Lo si intuisce fin dalle prime inquadrature, dai poster di vecchi horror anni '30 e ’50 (ma non manca neanche la “novità” romeriana La notte dei morti viventi proiettata nell’immancabile drive-in) che ricoprono le pareti della camera di Stella, ragazzina con il pallino della scrittura che nell’America rurale di fine anni ‘60 si ritrova, insieme ai suoi due migliori amici e a un misterioso ragazzo messicano, a fare i conti con la leggenda, tutt’altro che innocua, della suicida Sarah Bellows e del suo libro di fiabe che trasforma l’orrore raccontato in realtà.
Gli sceneggiatori David e Kevin Hageman attingono a piene mani da un immaginario orrorifico adolescenziale non diverso da quello di Stranger Things e Le terrificanti avventure di Sabrina, unito alle paure e ai turbamenti di Stand by Me. Un’antologia di racconti da falò, dove non manca nessuno dei luoghi topici del genere, dalla magione infestata all’ospedale psichiatrico fino alla notte di Halloween. Niente di nuovo, certo, ma messo insieme con ritmo, intelligenza narrativa e sensibilità emotiva dal regista norvegese André Øvredal per creare un horror umanistico, divertente e spaventoso come un giro sulle montagne russe, pieno di begli effetti speciali analogici – e di un parsimonioso uso del digitale – che non fanno altro che accrescere questo orrore casalingo fatto di sterminati campi di granturco e balli scolastici.
Come nell’It kinghiano, sono le colpe del passato, l’avidità, la discriminazione, l’odio (nutrito dalle parole, dalle bugie raccontate e dalle verità tacitate) a creare il mostro che aleggia sulla città. E, come spesso accade nel cinema di Del Toro, è stretto il connubio tra Storia e storia, tra realtà del tempo (e del nostro tempo) e paure, non solo soprannaturali. L’anno è il 1968, sugli schermi delle vecchie TV in bianco e nero passano ripetutamente le immagini della campagna presidenziale di Richard “Tricky Dick” Nixon (che nome perfetto per un mostro da teen horror!) e il fantasma feroce e sanguinario della guerra del Vietnam spaventa più di qualsiasi casa stregata. Una scary story terribilmente reale, pronta a catapultarti in un mondo da incubo da cui è difficile tornare indietro.