Archivio

filter_list Filtra l’archivio per:
label_outline Categorie
insert_invitation Anno
whatshot Argomenti
person Autore
remove_red_eye Visualizza come:
list Lista
view_module Anteprima

Fellini Pop

Nella produzione del primo Fellini (1950-1960) da Luci del varietà passando per Lo sceicco bianco fino a La strada, Il bidone, Le notti di Cabiria, nella “fase” del suo cinema che fu definita da Brunetta come “realismo di costume”, vediamo i chiari sintomi di una essenza innegabilmente popolare, nel senso di film sul popolo che sono anche film per il popolo. Siamo infatti convinti che il cinema felliniano sia uno dei rari prodotti della nostra cultura, spaccata nell’eterno dualismo tra highbrow e lowbrow, che ha avuto la capacità sensazionale di unire in sé i due filoni antitetici della produzione dell’immediato dopoguerra: i film di Fellini erano infatti film d’autore, che però la gente andava numerosa a guardare al cinema. 

“I clowns” e l’euforia felliniana

Per Fellini la crisi del mondo circense era reale. Il suo attaccamento ancestrale a questo mondo era più che reale, viscerale. Nel momento stesso in cui Fellini ci racconta del cinema, ammette di non sapere niente dell’argomento a lui più caro, se non di poter descrivere, per immagini, nell’unico modo a lui congeniale, il mondo di emozioni che il circo aveva suscitato in lui sin da bambino. La paura, lo stupore, il silenzio incantato, poi “il clangore delle trombe”, la folgorazione dello spettacolo grottesco, confusionario, visionario, appunto, dei pagliacci. Il circo e il cinema, ma anche, il circo è il cinema, in una osmosi continua tra le due forme di fantasia parossistica che possedevano il regista.  E infatti “il cinema, voglio dire fare del cinema, vivere con una troupe che sta realizzando un film, non è come la vita del circo”?

 

Tra Pierino e Fellini: Alvaro Vitali, il trickster italiano

Che si dedichi a una grottesca imitazione di Fred Astaire o a fare il verso alla Gradisca durante l’intero pranzo nunziale, il personaggio di Vitali finisce per confondersi perfettamente con il giovanotto romano dal naso aquilino che lo interpreta. Non è un caso che il ballerino d’avanspettacolo in Roma si chiami proprio Alvaro e giù dal palco faccia, per l’appunto, l’elettricista: con un piede nel sogno e un altro costantemente premuto sull’uscio del reale, Fellini libera il potenziale comico e cinico di un attore che farà del vivere secondo natura il suo leitmotiv principale, e che permetterà ad altre porte di spalancarsi in maniera del tutto spontanea.  La carriera del trickster tutto italiano si è indubbiamente assottigliata, ma l’importanza impudente e provocatoria di Alvaro Vitali resiste – e co-esiste – insieme alla sua corporalità spudorata.