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“Bestiari, Erbari, Lapidari” e il catalogo come comprensione umana

Bestiari, Erbari, Lapidari è un film che si pone da subito come un elenco: un titolo che è già un indice, un film che è già consapevolmente un catalogo. Massimo D’Anolfi e Martina Parenti sanno che si può partire solo con delle distinzioni precise. Se nel loro precedente Guerra e pace l’indice era temporale (passato remoto, passato prossimo, presente e futuro) qui è tipologico: Bestiari, Erbari, Lapidari. Una tautologia. Tre soggetti che rimandano a tre sfere, tre universi, tre dimensioni precise… universali, ma specifiche: animali, vegetali e minerali.

“Guerra e pace”. La visione multiforme di D’Anolfi e Parenti

Come nel precedente Spira mirabilis, in concorso a Venezia nel 2016, in questo nuovo film di D’Anolfi e Parenti a padroneggiare è la divisione in storie, luoghi e individui, tra loro lontani e sconosciuti. Se prima il discorso era organizzato per elementi (terra, acqua, aria…) a cui erano legati gesti (scultura, ricerca, creazione di uno strumento…) che si interscambiavano amalgamandosi in un discorso spirituale ed esistenziale, in Guerra e pace tutto è diviso in quattro capitoli: netti, sequenziali e caricati di un forte senso temporale (passato remoto, passato prossimo, presente e futuro), intenti a riflettere sulla guerra ieri e oggi, sulla pace come assenza/conseguenza di essa e sull’immagine come unico punto di incontro/scontro.

“Spira mirabilis”: effetto critico

In sala da alcuni giorni, il film di Martina Parenti e Massimo D’Anolfi ha un compito difficile: offrire il proprio cinema osservazionale e contemplativo, fatto di momenti operosi ma lenti, capaci di scolpire il tempo, agli spettatori meno abituati a questo approccio poetico e cosmogonico. Viste le reazioni molto forti – nel bene e nel male – che le persone stanno avendo in sala, siamo andati a recuperare un po’ di reazioni critiche al film e le abbiamo brevemente antologizzate a seguire. Si apra il dibattito.