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Damien Chazelle, l’erede del cinema hollywoodiano?

Chazelle si rivela la faccia pulita di una Hollywood che continua per la sua strada, posizionando qua e là personaggi messicano discendenti, afro americani, orientali, ma al tempo stesso dipinge il percorso ascendente dell’uomo che si è fatto da sé (il tuttofare Manny, che riesce a diventare produttore senza mai perdere il garbo e la cavalleria che lo porteranno alla conquista della bella bionda premio) in netta contrapposizione con quello discendente di Nellie, incapace di comportarsi bene, emancipata solo in quanto selvaggia e che alla fine trova la libertà solo nella morte.

Il puro abbandono sentimentale di “La La Land”

Per concludere l’anno, torniamo a parlare di La La Land, uno dei film più amati dalla redazione, uno di quelli che hanno sublimato la storia del musical (di cui ci siamo tanto occupati, per varie ragioni, nel 2017), una delle opere che più mette in gioco la cinefilia e il cinema come sogno desiderante. Soltanto sospendendo per un attimo la realtà si comprende tutto il potere evocativo di La La Land, dove anche grazie alla colonna sonora di Justin Hurwitz si respira un’aria di assoluto abbandono sentimentale tra il rimpianto di ciò che è stato e non sarà più.

“Les Parapluies de Cherbourg”, felice ma straziante

Les parapluies de Cherbourg segna l’affermazione dell’eterea Deneuve, non frigida come in Repulsion né tanto ambigua o equivocamente sensuale nel caso di Buñuel: Demy crea un ritratto muliebre in apparenza ingenuo, ma dai toni fortemente cupi e drammatici, soffermandosi sulle disarmanti casualità esistenziali, sul tempo e quanto ogni forma d’affetto o amore umani ne dipendano. Da un punto di vista formale, si nota l’uso dei colori pastello accesi e dicotomici, nella scenografia e fotografia a cui anche Chazelle ha guardato moltissimo, considerando gli abiti di Mia e Genevieve o le tonalità delle mura domestiche.