In Futura, sorta di reportage che vede la collaborazione di tre tra i più interessanti e talentuosi registi italiani contemporanei (Marcello, Rohrwacher e Munzi) si respira, per tutta la durata del lungometraggio, una continua tensione tra passato e futuro. Si tratta di un film elasticizzato in cui la convivenza tra le due dimensioni temporali è di fatto il tema portante del progetto e contemporaneamente la cifra stilistica adottata per espletarlo. I tre autori, singolarmente, girano in lungo e in largo per l’Italia intervistando (senza mai riprendere se stessi) ragazzi dai quindici ai vent’anni in merito alle loro sensazioni riguardo il futuro. Paure, sogni, preoccupazioni, attese: sono questi i temi centrali delle domande poste dagli autori e su cui molti adolescenti avranno di che dissentire.
Futura è quindi un film basato sul confronto. Innanzitutto si tratta di un progetto unico e fluido, non tripartito come si potrebbe pensare data la natura della sua regia. I tre collaboratori si alternano senza soluzione di continuità e bastano pochi minuti per dimenticarsi di avere a che fare con un’operazione collettiva invece che di un progetto firmato da un’unica mente. Il confronto vero e proprio però nasce in partenza tra le due generazioni al centro dei dialoghi. Da una parte gli adulti, dall’altra i giovani. Da una parte le vecchie generazioni (se così possiamo definirle, nonostante la giovane età dei registi), dall’altra i ragazzi che domani saranno al centro della nostra società.
Al tempo stesso però, anche i tre autori si confrontano con qualcuno più attempato di loro. Futura infatti fa i conti direttamente (omaggiandoli in maniera esplicita) con i capisaldi più celebri dei reportage cinematografici italiani. Su tutti Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini e I bambini e noi di Luigi Comencini. Anche in questo caso, la dicotomia e la convivenza tra passato e futuro si palesa sullo schermo e viene nuovamente certificata nella sequenza finale del film. In una lunga inquadratura girata in pellicola, i titoli di coda sono accompagnati da un cinema sporco, grezzo, amatoriale. Un cinema di altri tempi, spinto dall’emozione di catturare un momento più che da una programmatica intenzione didattica e/o analitica. Il digitale contemporaneo, associato all’idea di uno studio sistematico e meno impulsivo, si trova così a cedere il passo all’emozione di una pellicola consumata.
Il sentore che emerge tra i fotogrammi di Futura, quindi, è quello di un incentivo a non dimenticarsi del proprio passato. Il futuro si costruisce dalle origini e il futuro migliore è un futuro consapevole di cosa lo ha preceduto. In questo dialogo costante e mirato con il “vecchio che avanza” sembra basarsi l’auspicio dei tre registi per una gioventù che ha ancora tutto da scoprire davanti a sé, ma che non deve dimenticarsi di continuare a imparare quanto accaduto alle sue spalle.