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“Le vele scarlatte” nel cuore magico della semplicità

Con l’ausilio del fedelissimo Maurizio Braucci e di Maud Ameline, Pietro Marcello scrive e dirige il suo primo film francese affidandosi alla forza delle suggestioni, utilizzando l’ambiente, le luci, i colori e i suoni come veri e propri attori. Un’opera che trova nella sua semplicità la vera magia, svelando progressivamente un inedito punto di vista femminile. Di fatto, Le vele scarlatte è solo all’apparenza limpido e immediato, ma nasconde sotto la delicatezza delle immagini un sistema simbolico profondo.

Comizi di cinema. “Futura” e l’Italia di oggi

In Futura, sorta di reportage che vede la collaborazione di tre tra i più interessanti e talentuosi registi italiani contemporanei (Marcello, Rohrwacher e Munzi) si respira, per tutta la durata del lungometraggio, una continua tensione tra passato e futuro. Si tratta di un film elasticizzato in cui la convivenza tra le due dimensioni temporali è di fatto il tema portante del progetto e contemporaneamente la cifra stilistica adottata per espletarlo. I tre autori, singolarmente, girano in lungo e in largo per l’Italia intervistando (senza mai riprendere se stessi) ragazzi dai quindici ai vent’anni in merito alle loro sensazioni riguardo il futuro. Paure, sogni, preoccupazioni, attese: sono questi i temi centrali delle domande poste dagli autori e su cui molti adolescenti avranno di che dissentire.

Vite ai margini e storie senza tempo nel cinema di Pietro Marcello

Il cinema “documentario” di Pietro Marcello assomiglia a una devota manipolazione del reale: non una registrazione nuda del racconto, ma una sfida allo sguardo e alle percezioni, mai “tracotante” e carica di una cura estrema nei confronti dei soggetti prescelti. È il caso de La bocca del lupo, che giunge con soluzioni imprevedibili a illuminare i carrugi di Genova per raccontare la storia d’amore tra l’ex detenuto Vincenzo Motta e la transessuale Mary Monaco. Il film alterna con naturalezza disarmante scampoli di vita e materiale d’archivio – sapientemente ricercato e montato da Sara Fgaier – dispiegando un racconto che resta tenacemente al servizio delle immagini. In Marcello, del resto, persiste un’autentica venerazione per le molteplici possibilità dello spazio filmico, come ne Il silenzio di Pelešjan, che compone un ritratto attraverso quel “montaggio a distanza” tanto caro al cineasta armeno che sceglie di omaggiare.

“Martin Eden” di Pietro Marcello a Venezia 2019

Pietro Marcello come in La bocca del lupo cerca anche per Martin Eden uno sguardo che catturi l’intimità, i pensieri e le azioni del protagonista conservandone una grandiosa potenza. Evitando gli eccessi compone un’opera intrisa di “un appassionato realismo”, come lo è il Martin Eden di London, e costruisce un personaggio in cui tutti possono vedere se stessi. Guardare il signor Eden nella sua disfatta fisica e psichica è doloroso, anche se Pietro Marcello nel suo film avrebbe potuto approfondire ulteriormente questa seconda parte con le immagini piuttosto che con le parole. Infatti Martin Eden è davvero un racconto per immagini, un insieme di quadri che mostrati allo spettatore, dal primo all’ultimo, lo affascinano per la sua perfezione ed il suo realismo.