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“Quei bravi ragazzi” e il lato umano del crimine

Quando uscì fu un’opera che si poneva al di fuori degli stilemi tipici del genere.  Quei bravi ragazzi in qualche modo segna e modifica il modo di fare il cinema gangster. Molto di quel che è venuto dopo è stato influenzato dai goodfellas di Scorsese,  tra tutte la dichiarata ispirazione che spinge David Chase, showrunner de I Soprano a pensare una intera serie televisiva a partire da questa rappresentazione della criminalità organizzata.

Speciale “Quei bravi ragazzi” – Parte II

Un film nato sotto una buona stella – al contrario del precedente e travagliatissimo L’ultima tentazione di Cristo, ricordato più per le polemiche suscitate che per i contenuti – la cui vera forza risiede in un cast in stato di grazia. Dalle future guest star de I Soprano – Lorraine Bracco e Micheal Imperioli – al Premio Oscar nella categoria Miglior attore non protagonista per Joe Pesci, al caratterista Paul Sorvino. Attraverso un gioco di specchi il figlio di Little Italy torna alle sue origini per illustrarci le dure leggi della vita di quartiere scandita dalle ricorrenze del calendario importato dalla vecchia Europa.

Speciale “Quei bravi ragazzi” – Parte I

Col figlio di Little Italy l’efferatezza si fa “gioco empatico” che cattura lo spettatore attraverso il montaggio compulsivo e il classicismo rock della colonna sonora. Non è solo quella delle revolverate in pieno viso e della minuziosa macellazione dei cadaveri, ma anche la spietatezza delle relazioni umane nell’imprevedibile calderone mafioso mezzo irlandese e mezzo italiano. Henry, un incontinente Ray Liotta, mastica la vita senza pensare a nulla, interessato solo ad accumulare denaro e ad appartenere ad una famiglia; che sia solo la sua o quella della cosca intera, poco importa. Meglio abbondare. Abbondanza come accumulo chirurgico di scene madri e come godimento estetico che trova l’ebbrezza dello stordimento anche nell’ordinario. Questa è la poderosa macchina-cinema di Scorsese.