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Incontro con Ruben Östlund
L’appuntamento col pubblico, della durata di un’ora, è stato un percorso di rielaborazione delle prime esperienze con il cinema e del rapporto che il regista ha con la sociologia, scienza molto spesso ricorrente nei suoi film e passione trasmessagli dalla figura materna. Dagli esordi sui campi da sci in qualità di regista di video sportivi che gli hanno permesso l’ammissione alla scuola di cinema di Göteborg (anti-bergmaniana per eccellenza, in contrapposizione alla Stockholm Film School) fino alla fascinazione-inquietudine provata durante le proiezioni dei suoi film ai festival di cinema.
“Triangle of Sadness” e l’assioma dell’imprevisto
Film a tesi? Senza dubbio. Programmatico? Totalmente. Telefonato? Tutto il contrario, altrimenti una volta introiettati gli assiomi di base del mondo finzionale sapremmo esattamente dove Triangle of Sadness stia andando a parare, mentre invece le svolte narrative arrivano ogni volta impreviste, con personaggi che seguono archi narrativi logici e consequenziali, ma al tempo stesso altamente soggettivi ed egoriferiti. Östlund non ha in mente di distruggerli, ci fa sperare che si salvino, ma non prima che abbiano smesso di raccontarsela davanti a spettatori che a loro volta se la stanno raccontando, ben poco desiderosi di mettersi nei loro panni.
“The Square” e la teoria della classe agiata
The Square è uno zibaldone racchiuso nello spazio del titolo. Una meta-installazione di ideali installazioni. Ovvero episodi di una distopia culturale dentro i luoghi lindi, ovattati, uguali a mille altri nel continente del privilegio. Minimalismo asfissiante. Quadri che compongono il museo dell’umana bestialità secondo la regia trasparente, apodittica, ipnotica di Östlund.