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Gli universi di “Jumanji”, Spielberg, e il sentire tecnologico

La misura del tempo passato emerge dal confronto con chi fra gli esponenti della “vecchia guardia” si è misurato di recente con il gaming. Pensiamo a Steven Spielberg, il cui Ready Player One, collocandosi a metà fra primo e secondo reboot, mette in scena un futuro completamente immerso tramite sofisticati visori in una variopinta e iperdinamica realtà virtuale, e dove la personalizzazione dell’avatar secondo le regole degli RPG consente di nascondersi in bella vista, proiettando un’immagine di sé che spesso non collima con la vera personalità del giocatore-utente. Pur molto più vicino ai nuovi Jumanji che non all’originale nella proposta narrativa, per la sensibilità che vi è profusa Ready Player One può dirsi un’opera di transizione fra queste due diverse epoche del sentire tecnologico.

“Ready Player One” e la rivoluzione nerd

Sarebbe bello sapere cosa ne pensano i cinefili di questa visione oscura che investe la loro più grande passione. Sarebbe bello, anche se a essere onesti le due scene di apertura e chiusura sono indicative: in quella iniziale tutti i cittadini sono immersi nei loro visori di realtà virtuale; in quella finale è il mondo di gioco a venir chiuso il martedì e il giovedì. Tuttavia, a pensarci bene, le due scene reggerebbero anche sostituendo i videogiochi con i film o, perché no, con i libri. In quel caso, probabilmente, cinefili e lettori storcerebbero il naso, noterebbero una stonatura rispetto all’aura tipicamente positiva che circonda cinema e letteratura. Se si tratta di videogiochi, invece, l’alienazione si dà per scontata. E invece no: i nerd dovrebbero ribellarsi allo stereotipo.

Le sonorità postmoderne di “Ready Player One”

Il film è un’opera profondamente citazionista, ma la quantità e la contestualizzazione dei rimandi è tale da (ri)costituire un universo paradossalmente compatto che più che le singole opere (cartoon, videogiochi) cita un’epoca e una cultura: quella pop culture che gli studiosi del creatore di Oasis analizzano per carpire i segreti della sua caccia al tesoro. Se non possono mancare decine di rimandi a videogames e fumetti degli anni Ottanta nelle armi, nei veicoli e negli stessi avatar, sono i vestiti, il look, le atmosfere e la musica a rievocare nei minimi dettagli quella pop-culture che fa emergere il Michael Jackson di Thriller e i Duran Duran, Prince e Billy Idol. La colonna sonora riverbera questo spirito citazionista offrendo pop-hits di quegli anni, ma esprime ancor più l’anima postmoderna del film includendo nello stesso universo sonoro Johann Sebastian Bach e Twisted Sister, Blondie e brani originali di Alan Silvestri, che richiama persino Antonìn Dvořák.

Kane, il Graal, e le chiavi per comprendere “Ready Player One”

Impossibile allora resistere al fascino della vicinanza di The Post, gemello eterozigote a cui l’ultima fatica del regista è legata specularmente. Da una parte il racconto storico ricollocato nel contingente o addirittura nel futuro. Dall’altra la distopia futuribile tesa alla ricerca, nel passato umano e iconografico, della propria identità. Un cinema “dell’omaggio” che passa per il rispolvero del proprio arsenale narrativo, e un cinema autoreferenziale (il campo da gioco sono gli anni ’80 tirannicamente dominati proprio da Spielberg) che sfocia nella celebrazione ultracitazionista di un intero e spesso “altro” mondo di fantasia. Ma siccome il gemello più grande nasce per secondo Ready Player One contiene anche da solo l’intero dualismo, euforia tecnologica e detection esistenziale, baluardo del classico e insieme punto di non ritorno della bulimia auto-ammiccante di questi ultimi anni.