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“Il quadro rubato” tra linguaggio dell’arte e distanze sociali
L’ambivalenza tra commedia dall’ironia affilata e dramma di uno spaccato sociale fa de Il quadro rubato un film autoreferenziale, che disvela i meccanismi dietro alla mercificazione dell’arte. I personaggi si muovono in uno spazio circoscritto all’interesse per il profitto e questo, Bonitzer lo restituisce attraverso le battute di una sceneggiatura cinica e zelante che sfrutta il linguaggio dell’arte per riflettere le distanze sociali, non per risolverle, bensì per acutizzarle.
“La gazza ladra” socialmente fiabesca
Da un semplice preambolo familiare, riscaldato dal sole di Marsiglia, Guédiguian compone un’opera bilanciata, sorretta dalla leggerezza di una commedia sentimentale e dal peso di un dramma familiare. La gazza Ladra è un film sentinella di questioni sociali e di interrogativi etici che il regista è solito avviluppare e annodare tra le relazioni che i personaggi instaurano, all’interno di uno spaccato di quotidianità.
“Eden” e il limite della sopravvivenza
Questa vicenda storica, imbevuta di mistero, omicidio e di limiti per la sopravvivenza umana compone un corpus di tematiche convulse che Howard restituisce attraverso una regia razionale ed equilibrata, un montaggio che segue zelante la catabasi del mito del buon selvaggio e immortala il ritratto dell’umanità più nichilista e primitiva, ove l’uomo produce il male come le api producono il miele.
“Lee Miller” e l’occhio di chi guarda
La scelta registica è quella di narrare la vita della Lee Miller fotoreporter attraverso un biopic intervista. Una sorta di interrogazione, il cui obiettivo è tentare di esaminare il vissuto di quegli occhi- interpretati magistralmente da Kate Winslet – ormai stanchi, disillusi, arrabbiati, ma ancora ricolmi di vita. Quegli occhi che hanno visto la barbarie della guerra e che grazie alla macchina fotografica hanno potuto immortalarla in immagini, in testimonianze visive dal valore trascendentale.
“FolleMente” e i linguaggi della relazione romantica
Con FolleMente, il regista propone una sceneggiatura a più mani, un esercizio di scrittura aggregata con Francesco Piccolo, Paolo Costella, Isabella Aguilar e Flaminia Gressi che portano in superficie le dinamiche comportamentali, dibattute dai pensieri che affollano la nostra mente durante il primo appuntamento. Se poi quelle emozioni sono impersonate da un cast che riunisce alcuni tra i grandi nomi della scena italiana, la sceneggiatura non può che attecchire comodamente nel terreno della commedia romantica.
“Luce” del cinema tra realtà e finzione
C’è un’immediatezza comunicativa e visiva in grado di sollevare un sentimento di umanità empatica nei confronti di coloro che tentano di approfondire la propria esistenza al di fuori delle mura della fabbrica. In Luce la responsabilità di questa missione è affidata alla sola voce del padre che, nel suo oscillare tra vero e falso, tra realtà e immaginazione, restituisce alla protagonista quel ruolo di figlia protetta, sgridata e amata che non ha mai interpretato.
“L’abbaglio” del popolo italiano
L’intento del regista ricorda intellettualmente quello compiuto nel saggio Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (1824) di Giacomo Leopardi, dove il filosofo tratteggia – senza troppo delicatezza – il carattere opportunista che contraddistingue l’allora inesistente popolo italiano. Nel film, questo disvelamento viene filtrato in maniera edulcorata proprio dal nucleo comico che si costituisce in Domenico e Rosario.
“Una notte a New York” e il dialogo che sa prendersi il suo tempo
Per il suo esordio alla regia Una notte a New York la sceneggiatrice e autrice Christy Hall predilige un single location movie, vale a dire un film ambientato in un unico spazio. Un’operazione che, all’apparenza può sembrare un modesto tentativo, ma nasconde numerose insidie, prima fra tutte il rischio di smarrire lo spettatore tra i dialoghi e privarlo dell’azione. Una notte a New York non inciampa in questo sgambetto. E nel cinema sappiamo bene che la fortuna del principiante non esiste.
“Solo per una notte” senza alcun pregiudizio
Con Solo per una notte, Rappaz sperimenta il potere di raccontare una donna, forte nella sua fragilità e fragile nel suo amore. Il film non ammette alcun pregiudizio nei confronti di Claudine e forse, questo è proprio l’elemento di scrittura più sofisticato. La possibilità di amare contemporaneamente più cose; ecco la spiegazione che Claudine dà a Baptiste quando le chiede il significato di eclettico, finendo per codificarsi come la chiave prolettica della sua storia.
“L’orchestra stonata” e la commedia delle diversità sociali
Lo stile cinematografico teso e sotteso di Courcol dimostra piena padronanza nella progressione degli sviluppi e dei cambi repentini che scandiscono il film, che oscillano tra commedia e dramma proprio come un metronomo. Allo stesso tempo, la sottotraccia di quel filone operaio interno – molto caro al cinema francese – non smette mai di suonare, anzi, percuote prepotente nel tentativo finale di allestire un’orchestra diretta da Thibaut all’interno della fabbrica occupata (e destinata a chiudere) dagli amici e dai compagni di banda di Jimmy.
“Il corpo” e il vortice del dubbio
Tra le ipotizzanti congetture e gli indizi sparpagliati che si raccolgono compiutamente alla fine (come in ogni buon thriller) il meccanismo formale vincente della storia è la tecnica narrativa conosciuta come aringa rossa. Quest’ultima può essere ascritta come un depistaggio cinematografico che induce a costruire una specifica versione della storia e accreditarla come veritiera per far perdere l’orientamento allo spettatore e coglierlo del tutto impreparato sul gran finale.
“Le déluge” e l’altra faccia della Storia
Si tratta di una discesa demoniaca raffigurata attraverso il codice espressivo dello spazio, che racchiude in sé la deposizione del potere monarchico e la svestizione simbolica del re e della regina in comuni cittadini che si aggrappano alla speranza di essere assolti nel processo che li dichiarerà poi colpevoli contro la sicurezza generale dello Stato. L’elemento formale che crea l’autentica rivoluzione del film è il ribaltamento di prospettiva, l’altra faccia della medaglia che ricorda alla Storia di includere tutti i punti di vista, non soltanto quello dei vincitori.
“Eterno visionario” biopic consapevole e rassegnato
Tutto si fonde e si confonde, il teatro e il cinema si specchiano e si riflettono specularmente, vestendo l’uno i panni dell’altro, nel tentativo di indagare la vita e il significato insondabile della sua stessa rappresentazione. La cinepresa inerme non può far altro che seguire fedele quei personaggi instabili e scandalosi per gli anni, dalla prima assoluta de I sei personaggi in cerca d’autore al teatro Valle di Roma nel 1921 a Nostra Dea dell’amico Massimo Bontempelli, messa in scena dalla compagnia del Maestro al teatro Odescalchi nel 1925.