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Drammaturgie folk in “Un tranquillo weekend di paura”

Se nel 1971 Sam Peckinpah in Cane di paglia continuava la sua sofferta meditazione sull’every man come macchina da combattimento in un mondo iniquo, il suo collega d’oltreoceano John Boorman si inabissava, un anno dopo, nel cuore di tenebra della middle class americana girando Un tranquillo weekend di paura. Poco importa che avrebbe dovuto esserci “l’ultimo westerner” a realizzare il film tratto dal romanzo omonimo di James Dickey, poiché il cineasta britannico non sfigurò e ne fece uno spericolato tuffo nell’ignoto.

“Un tranquillo weekend di paura” e il corso della natura selvaggia

Anni prima che l’ecologia fosse riconosciuta come tema di rilievo per la comunità mondiale, il Lewis Medlock di John Boorman si lancia in una triste considerazione sul destino del fiume Chatooga, in procinto di essere cancellato con la costruzione di una diga. Il rapporto con la natura che costituisce il cardine di Un tranquillo weekend di paura è però molto più complesso della semplice propaganda ecologista: la comunione con il mondo naturale, cercata più o meno consciamente dai quattro amici nella gita in canoa, non rivela una vita più semplice e pura ma gli orrori della lotta per la sopravvivenza.

“Zardoz” turbinoso e psichedelico

Considerato un film trash quanto un cult, Zardoz rimane un’opera straniante e sorprendente, uno di quei casi in cui collassa la distinzione fra cinema di genere e d’autore. John Boorman sfruttò la libertà di sviluppare un soggetto personale e non convenzionale, che non venne apprezzato granché quando approdò nelle sale. L’autore inglese fu rimproverato prevalentemente per le troppe considerazioni filosofiche. Indubbiamente una sola visione non basta per entrare in sintonia con un prodotto così sfuggente, che ibrida fantascienza distopica e mystery, speculazioni sulle implicazioni sociali dell’immortalità e un caleidoscopico impianto visivo/narrativo.

“Leone l’ultimo” di John Boorman al Cinema Ritrovato 2018

Ogni volta che ci si imbatte in un film di John Boorman viene da chiedersi come mai non se ne parli molto di più. Il regista inglese nato a Shepperton non ha solo firmato un pugno di classici amatissimi (Duello nel Pacifico, Excalibur e naturalmente Un tranquillo weekend di paura); possedendo come pochi tanto il nerbo del narratore di razza quanto la fiamma del visionario, è fra i migliori esempi viventi della mai abbastanza ribadita labilità di confini fra cinema “basso” e cinema “alto”. E lo è stato quando questa era ancor meno ovvia. Tanto premesso, almeno nel caso di Leone l’ultimo, è plateale la vera e propria scelta di campo di fare un film d’arte.