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New York e l’uomo precario. Il cinema dei fratelli Safdie
All’inizio c’era Cassavetes. Così è ancora oggi per gran parte della scena underground del cinema newyorkese. Un’influenza comune che ha fatto scuola dando vita a filmografie numerose che, partendo dallo stesso binario, si diramano in altrettanti percorsi differenti. Se così è, ad esempio, per Noah Baumbach che parte da Cassavetes per arrivare a Woody Allen, altrettanto è per Josh e Benny Safdie – newyorkesi doc, classe ’84 e ’86 – ossessionati all’inizio da un cinema del reale, naïf, umano, poetico; spinti negli ultimi anni verso un cinema più narrativo, artefatto, dal consumo frenetico. Partendo, dunque, da Cassavetes (padre putativo dell’intera scena), occupando territori a loro inesplorati sulla scia di Scorsese, rivolti ad un cinema sempre meno povero nei mezzi, come nell’oggetto del loro sguardo.
“Mariti” e il cinéma vérité
Leggendo velocemente la sinossi di Mariti di John Cassavetes è inevitabile associarlo a numerosissime altre commedie dalla simile trama, da Amici miei di Monicelli al più recente Una notte da leoni. Eppure non esiste nulla di più lontano da quei film di Mariti; anzi, in verità, la stessa categorizzazione di “commedia” è incredibilmente riduttiva e fuorviante per un’opera come questa. È un film brutale, a tratti insopportabile per i personaggi, per gli attori e per noi spettatori. Ogni regola della cinematografia e ogni convenzione è scartata per la realizzazione invece di un’opera vera, genuina, verace. Quello di Cassavetes è puro cinéma vérité, quasi documentario. Le reazioni sono vere, così come le espressioni, i gesti. È difficilissimo capire dove si ferma l’improvvisazione e si rientra nello scritto, dove si fermano le lotte e si rientra nella coreografia.
“Mariti” di John Cassavetes al Cinema Ritrovato 2019
Cassavetes definisce Mariti una commedia, ma in realtà descrivono meglio il film le parole angoscia ed esasperazione. L’angoscia è quella dei protagonisti, che non riescono a mascherare il rimorso per le scelte compiute, ad accettare che il tempo non torna indietro. Non importa quanto tentino di regredire ad uno stato infantile abbandonandosi a capricci e desideri inconsistenti, la loro vita è chiaramente impostata e davanti a loro c’è solo la morte. È proprio a partire dal decesso di un loro amico che i tre mariti hanno un’epifania, acquisiscono consapevolezza della fine, e cercano di ingannarla pateticamente ricreando quell’atmosfera da camerati che meglio si addice a bambini delle elementari. La lunga “veglia funebre” e il viaggio in Europa sono solo due delle infinite direzioni possibili nel loro percorso senza meta.
New York Stories: “Ombre”
Ombre (1959) è il primo film di John Cassavetes: a venir coinvolti nelle riprese sono gli attori del laboratorio di recitazione fondato assieme all’amico Burt Lane (padre di Diane Lane), creato in contrapposizione all’Actors Studio.