Archivio

filter_list Filtra l’archivio per:
label_outline Categorie
insert_invitation Anno
whatshot Argomenti
person Autore
remove_red_eye Visualizza come:
list Lista
view_module Anteprima

L’americanismo di “In nome della legge”

l film di Kulešov, con sceneggiatura di Viktor Šklovskij, è tratto dal racconto The Unexpected di Jack London, autore notoriamente ossessionato dalla ricerca di una nuova frontiera. L’ambientazione lontana e il ricorso all’immaginario della natura selvaggia permettono una sorta di sovrapposizione culturale, poiché la tensione tra vecchio e nuovo che in Russia fa quasi un tutt’uno con l’arrivo delle idee rivoluzionarie (e permea, prima ancora che il cinema, la letteratura, almeno dalla seconda metà dell’Ottocento), con il concreto verificarsi della rivoluzione viene esasperata in una sorta di mitologia della tabula rasa, che con il concetto di frontiera ha qualcosa in comune – e che può forse fornire una lettura dello smodato interesse per i prodotti culturali d’oltreoceano.

L’occhio della materia: “La vita colta sul fatto” di Dziga Vertov

Per Dziga Vertov, una cinematografia realmente di massa non è soltanto destinata alla collettività, ma realizzata dalla collettività stessa, cioè dal maggior numero possibile di Kinoki. L’analisi, l’elaborazione e la strutturazione del girato costituiscono una prassi politica, un’attività propedeutica allo sviluppo di forme e temi che siano espressione di una nuova verità. È questa la strada per la kinefikacija, la cinematizzazione che deve restituire la vista alle masse, ottenebrate da una struttura borghese del mondo e del cinema.

“Vento dell’est”, critica ideologica all’estetica cinematografica

Come tutte le pellicole del gruppo Dziga Vertov, Vento dell’est è una riflessione in fieri sul cinema attraverso il cinema e si potrebbe definire un cine-saggio, che non vuole né divertire né indottrinare, ma unicamente infastidire lo spettatore, per costringerlo ad esercitare una coscienza critica. A differenza di quanto accadeva in Week-end o La cinese, in cui ricercatezza tecnica e formale erano spinte al limite, allo scopo di rivelare l’artificialità della rappresentazione, in Vento dell’est l’estetica del film è subordinata al procedimento dialettico.

“Aleksandr Nevskij” e l’ossessione del controllo

Dopo una serie di boicottaggi da parte della censura, Ejzenštejn porta finalmente a compimento il suo primo film sonoro, in collaborazione con Sergej Prokofiev. Aleksandr Nevskij, alla guida dell’esercito russo, trionfa sui Teutoni – e il grande condottiero Stalin è pronto ad affrontare i nazisti. Tuttavia, la celebrazione patriottica degli eroi del passato non è sufficiente ad ottenere l’approvazione dei supervisori: sia il regista che il compositore devono soddisfare i canoni formali del realismo socialista.

“Les Gauloises Bleues”, un film nouvelle vague

Il mio Godard di Michel Hazanavicius ha riportato all’attenzione Les Gauloises Bleues, un film quasi dimenticato di Michel Cournot. La vicenda è nota: il film di Cournot era in concorso al festival di Cannes nel 1968 quando l’affaire Langlois raggiunse la Croisette e le proiezioni vennero sospese. E Les Gauloises Bleues è l’unico tentativo alla regia di Cournot, amico di Godard e severo critico cinematografico per le pagine del Nouvel Observateur.

Il nostro Godard. “Week-end” e il potere sovversivo del paradosso

In questi tempi difficili, in cui è quasi più ricercato ridere di Godard che con Godard, pare appropriato riflettere su Week-end, a quasi cinquant’anni dalla sua uscita nelle sale, tanto più che essendo “un film perso nel cosmo” e ponendosi perciò come un reperto da (ri)scoprire, diventa un’esortazione alla cinefilia ritrovata. Apocalittico e tragicamente esilarante, è l’ultimo film che Godard affida al circuito ufficiale, prima di un rifiuto quasi totale dell’industria cinematografica che durerà più di un decennio.

“Il mago di Oz”, Dorothy e la child woman

Una lettura metacinematografica del Mago di Oz può chiarire che la nostalgia verso un vecchio modo di fare cinema è la chiave per comprendere il personaggio: Judy Garland segna la fine dell’epoca della child-woman, ovvero della donna che recita la parte di una bambina. Quando Judy Garland, travestita da bambina per impersonare Dorothy (e quindi perfidamente defraudata del suo potenziale erotico), intona una suadente Over the Rainbow, l’associazione tra la voce e la fonte sonora crea un bizzarro cortocircuito. 

“Cenerentola a Parigi” e la favola della merce

Come altri film del medesimo periodo (Sabrina, Papà Gambalunga e Arianna), Cenerentola a Parigi si può considerare una fantasia di ricostruzione da piano Marshall, strettamente connessa alla favola di Cenerentola, in cui il cambio d’abito si configura come accettazione di una nuova ideologia e trionfa il lieto fine, molto simile a un matrimonio combinato. L’Europa assume le sembianze di una sprovveduta vogliosa di abbracciare allo stesso tempo l’americano e l’ideologia capitalista, e pronta a concedere in cambio amore e capitale culturale.

Cinema Ritrovato 2017: “Monterey Pop” e il rituale sinestetico

La sfavillante pellicola di Pennebaker, capostipite del rockumentary, è un esempio di cinema diretto con una freschezza quasi artigianale: libero da finalità commerciali, esprime la volontà di inglobare lo spettatore in un rituale sinestesico, e resta una testimonianza indispensabile del clima culturale della Summer of Love.

“Pull My Daisy”, cinema beat

Beat: colpo, battito. Tac tac sulla macchina da scrivere: prima il ritmo, poi pensieri e frasi. Una scrittura che flirta col bebop, da cui deriva musicalità e gusto per l’improvvisazione. Pull My Daisy, sprovvisto di dialoghi e presentato nella rassegna New York Stories, si affida totalmente alla voce fuori campo di Kerouac.

Hippie a Central Park: “Hair”

 Era il 1967 quando la controcultura, di fatto già evolutasi in moda, arrivò in teatro grazie a Hair. E Miloš Forman era tra il pubblico. The American Tribal Love-Rock Musical era in linea con i tempi che raccontava: un seducente pot-pourri di amore libero, pacifismo, droghe e coscienza cosmica.

“Sing”: una fiaba sulla creatività simbolica

 

L’occasione di rivedere Sing ci offre il pretesto per tornare su un cartoon particolarmente intelligente e incompreso. Ecco un’analisi delle riflessioni che l’apparente semplicità del film nasconde tra le pieghe dei suoi formidabili personaggi.