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“Ferie d’agosto” restaurato. Il cinema di Virzì e ciò che siamo diventati

L’opera, restaurata dalla Cineteca di Bologna, dimostra quanto quelle riflessioni fossero attuali e come la comicità di Virzì, partendo da una reinterpretazione della commedia all’italiana, avesse amaramente disegnato una dimensione realmente realizzatasi. La visione oggi suggerisce implicitamente un bilancio su quello che siamo, ma soprattutto su quello che siamo diventati. Sul finale, diverse generazioni confessano i propri desideri al chiarore della luna, rivelando un trasversale sentimento di fallimento e insoddisfazione: il sapore amaro che la fine del millennio nel bel paese porta con sé, il disfacimento della sicurezza degli ideali messi di fronte all’inconsistenza di sé e alle proprie ipocrisie.

“Il bigamo” e gli archetipi della commedia classica

La commedia era il genere prediletto dal pubblico del dopoguerra, desideroso di dimenticare in fretta gli orrori della guerra e ottimista verso la ricostruzione. Il bigamo da un lato partecipa a questa festa di aspirazioni, ma dall’altro è un’opera molto più consapevole, caratterizzata da una sapiente rilettura della commedia classica, scandita da un calibrato meccanismo di azione/reazione, paradosso/realtà, apparire/essere. L’imprevedibile intreccio dei fatti, come gli efficaci dialoghi sono il frutto di un curato lavoro di sceneggiatura, operato da Vincenzo Talarico, Francesco Rosi, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli.

“Camilla” di Luciano Emmer al Cinema Ritrovato 2018

E’ il primo dei lungometraggi di Emmer non composto da episodi che si intrecciano. La pellicola venne inizialmente stroncata dalla critica di stampo cristiano, perché descriveva la situazione di una coppia convivente, ma non sposata (l’amico di Mario e la fidanzata). Anche se in questo film la narrazione si concentra sostanzialmente solo attorno al nucleo familiare, questo non significa che ponga l’attenzione su alcune figure a discapito della vicenda collettiva. In questo senso è molto importante la scelta dei nomi dei personaggi: Mario, Giovanna, Gianni, Andrea, Paola sono nomi comunissimi, che si dimenticano e si confondono facilmente. Ciò simbolicamente significa che Emmer, nonostante si concentri questa volta su un numero di elementi ristretto, non si esenta dall’aspetto di documento della società che caratterizza tutta la sua filmografia. 

La leggerezza di “Terza liceo” di Luciano Emmer

La storia, tanto semplice quanto coinvolgente, narra le vicende dei ragazzi della classe IIIC di un liceo romano, percorrendo interamente il loro ultimo anno scolastico: dal primo giorno di scuola agli esami di maturità. Le vite degli alunni si intrecciano tra amori, non sempre felici e spesso contrastati dagli interventi dei genitori, e rapporti di amicizia. Molto spesso i ragazzi sono autori di piccole ribellioni, come la circolazione di un giornale scolastico abusivo, con cui manifestano la loro ricerca di indipendenza nel passaggio all’età adulta. Come di consueto nei film di Emmer non vi è un protagonista, ma la pellicola racconta gli avvenimenti di numerose figure minori dove, nel complesso, nessuna prevale mai sull’altra. Una vicenda collettiva che acquista un importante significato solo se tutti gli elementi concorrono alla narrazione e se descritta con particolare attenzione al suo contesto storico e sociale.

La complessità di “Nessuno sfuggirà”

Nessuno sfuggirà, pellicola di De Toth, è un’opera veramente singolare, in quanto racconta il secondo conflitto mondiale, ma lo fa quando esso è ancora in corso, nel 1944. Questo film, di esplicita propaganda antinazista, è ambientato a Varsavia, ma prefigura il processo di Norimberga (1945). Fin dal titolo è possibile percepire il tono di denuncia nei confronti delle atrocità disumane, e la rabbia suscitata dagli orrori dell’invasione della Polonia del 1939, Nessuno sfuggirà: ogni criminale di guerra nazista risponderà delle proprie azioni.

“Rosita” e il Lubitsch touch

Secondo Scott Eyeman, biografo di Lubitsch, Rosita è “uno dei film muti fisicamente più belli” in cui si può vedere chiaramente l’affiorare di quello che è stato definito dalla critica il “Lubitisch touch”: ovvero la capacità di dipingere scene tali da non avere bisogno di spiegazioni ulteriori, di evocare emozioni e atmosfere per mezzo di luci, composizioni e montaggio, di mettere in scena gesti che riassumono l’intera fisionomia di un personaggio, in poche parole di arrivare in modo pregnante allo spettatore per mezzo del solo linguaggio cinematografico non verbale. Come scrive Guido Fink, “nel cinema di Lubitsch il non detto, il silenzio, il non visto, contano quanto le parole e le immagini”.

“Domenica d’agosto” e la separazione delle classi

Con Domenica d’agosto Emmer è riuscito a rappresentare lo spirito italiano del secondo dopoguerra in modo ineccepibile. Il finale in cui i due giovani scoprono di essersi vicendevolmente mentiti sulla loro condizione sociale, e di appartenere in realtà entrambi al proletariato, li rende ancora più complici e affiatati. In quel bacio ingenuo rubato al calare della sera si può leggere tutta la speranza ottimistica del popolo italiano negli anni ’50. Merita attenzione l’atteggiamento satirico con cui Emmer si accosta alla politica e alle questioni sociali. La separazione delle classi domina per tutto il film, resa fedelmente dalla rappresentazione dello spazio dove gli stabilimenti tranquilli per aristocratici e ricchi sono ben separati da quelli affollatissimi per i proletari, “E’ naturale i poveri sono tanti e i ricchi sono pochi”.