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Dreyfus al cinema. Riscoprire “Emilio Zola” di William Dieterle

L’arrivo sugli schermi dell’ultima opera di Roman Polanski ha riacceso l’interesse sul caso giudiziario e politico di Alfred Dreyfus, riconosciuto colpevole di spionaggio, degradato e condannato alla detenzione da scontarsi nell’Isola del Diavolo. Tra le fonti di ispirazione citate da Polanski un posto di rilievo è occupato da Emilio Zola (The Life of Emile Zola) di William Dieterle. Distribuito nel 1937, impressionò il futuro regista con la scena della degradazione di Dreyfus, evento con cui si apre L’ufficiale e la spia. La pellicola su Zola fa parte delle biografie prodotte dalla Warner Bros. negli anni Trenta, dirette da William Dieterle ed interpretate da Paul Muni. Nello specifico fu la prima produzione targata Warner ad aggiudicarsi l’Oscar per il miglior film. Qui ricostruiamo la storia del film e tutto il contesto produttivo hollywoodiano di quegli anni. 

Tutta la verità, nient’altro che la verità – Speciale “L’ufficiale e la spia”

“Chi lascia fare e s’accontenta è già un fascista”, ha scritto Pavese. “E un nazista”, aggiunge oggi Polanski. È proprio questo il concetto attorno a cui ruota L’ufficiale e la spia: in coscienza, si possono sacrificare la vita di un uomo e la verità dei fatti all’opportunità politica, al pregiudizio e alla convenienza personale? Picquart, capo dei servizi segreti di Francia, è convinto di no, e nonostante pressioni e usi lassisti consolidati e fomentati dal potere, non è disposto a venir meno a quel che dovere e morale gli impongono. “Non si possono cambiare i fatti”, dice, anche a costo di disobbedire agli ordini ed insubordinarsi, rischiare la propria stessa privilegiata posizione, certi dell’ammonimento eterno di Émile Zola: “quando non si afferma la verità, comincia la decomposizione di una società”.

La giustizia e la verità – Speciale “L’ufficiale e la spia”

L’esplosione della verità e della giustizia invocata da Zola sta di sicuro molto a cuore anche a Polanski, che del film non firma solo la regia ma anche la sceneggiatura insieme allo scrittore Robert Harris, autore dell’omonimo libro da cui la pellicola è tratta. Le due parole – verità e giustizia – sono pronunciate solo due volte nel film ma da due punti di vista assolutamente antitetici. La prima volta le pronuncia Auguste Mercier, generale dell’esercito e Ministro della Guerra, che “in nome della giustizia e della verità” consegna nelle mani di Picquart un dossier segreto, in realtà pieno di falsità e inesattezze. Dossier che costituirà la prova definitiva per la condanna di Dreyfus. La seconda volta è Picquart stesso che, per motivare le ragioni che lo hanno portato a prendere le difese di Dreyfus, sostiene di aver agito non a favore di un uomo, ma per onorare “la giustizia e la verità”.

Il cinema d’autore totale – Speciale “L’ufficiale e la spia”

il film arriva in una fase delicatissima della sua carriera, non solo per quanto concerne i contraccolpi del privato sul lavoro e sull’immagine pubblica, ma anche per il momento storico e politico in cui ci troviamo. Dunque, mettendo da parte le vicende personali benché di dominio pubblico, L’ufficiale e la spia è anche il metronomo che misura il nostro tempo. E allora: il rigurgito antisemita, le fake news che postulano lo stesso caso Dreyfus, il ruolo degli intellettuali incapaci di persuadere il popolo, le tentazioni autoritarie in ambiente militare che subentrano laddove regna il caos, la generale intolleranza dominante nella narrazione dei nazionalisti. Su questi elementi si fonda una rievocazione che non va letta soltanto nella prospettiva di un period drama ma soprattutto in quanto allegoria di un’epoca (contemporanea: ieri come oggi e così anche domani) attraversata dalla non-cultura del sospetto e dell’odio.

“L’ufficiale e la spia” di Roman Polański a Venezia 2019

Anziché concentrarsi sulle estreme ed immeritate sofferenze della vittima ingiustamente accusata di tradimento, Polański costruisce il proprio film attorno ad un personaggio che fu inerte testimone della condanna inflitta al capitano Alfred Dreyfus. Una scelta non indifferente che si ripercuote su vari strati dell’opera, a partire dalla focalizzazione dello sguardo che sin dall’inizio smentisce ogni intenzione da parte dell’autore di identificarsi con la vittima. L’innocente punito senza ragioni esiste ma, nonostante la sua presenza riecheggi in ogni scena, è relegato sullo sfondo. I riferimenti all’attualità sono presenti e  talvolta clamorosamente attuali ma, nel delineare una minuziosa ricostruzione degli accadimenti storici che segnarono la vicenda, la riflessione sui torti subiti e sul processo di ricostruzione della verità assume una portata ampia e generalizzata, non più riconducibile alle questioni personali del regista. Un percorso sconnesso e dall’esito amaro, che rinviene nell’incessante tentativo di ricerca della giustizia il proprio centro tematico, nonché la forza propulsiva dell’azione.