Archivio

filter_list Filtra l’archivio per:
label_outline Categorie
insert_invitation Anno
whatshot Argomenti
person Autore
remove_red_eye Visualizza come:
list Lista
view_module Anteprima

La chanson modernizzata. “Sir Gawain e il cavaliere verde” e la ballata episodica

Il protagonista dell’impresa è il prode Gawain del poema originale, che accetta la sfida del maestoso Cavaliere Verde a cui ha tagliato la testa, e intraprende un episodico viaggio al termine del quale dovrà porgere a sua volta il collo e assumersi la responsabilità delle proprie gesta. Una chanson avventurosa, quindi, ma anche un romanzo picaresco di formazione: nel tentativo di coniugare queste due anime nel modo più accattivante possibile, Lowery trasforma il suo Sir Gawain in un racconto sostanzialmente bifronte, rapsodico ma lineare, destrutturato e romanzato al tempo stesso.

Elegia del cinema senile

Si può fare un film senile che guarda alla morte col sorriso? Tanti grandi old timers sembrerebbero smentire. Il Duca Wayne se ne andò male, nel sangue proprio e altrui, con Il pistolero di Don Siegel. Huston chiuse con tre capolavori (Sotto il vulcano, L’onore dei Prizzi, The Dead) che puzzano letteralmente di morto. Johnny Cash rifece Hurt. Perfino Clint Eastwood sentì in Gran Torino il bisogno catartico di fare i conti col lato buio della sua luna, mentre il prossimo Il corriere – The Mule che tutto lascia supporre nuovamente testamentario parlerà di un vecchio corriere che trasporta, ignaro, un carico mortale. Però nessuno di loro è Sundance Kid. I momenti migliori in Old Man and the Gun sono quelli con Tucker/Redford che si stiracchia al sole caldo e così affine al suo mito della sua casa in campagna. Quando gli chiedono se c’è un motivo per cui l’ha presa in vista di un cimitero risponde di no, e si può credergli.

“Old Man & the Gun”: ti racconto molte storie, quasi del tutto vere

“Questa storia è quasi del tutto vera”, avverte guardinga la nota che apre Old Man & the Gun, il film con cui Robert Redford saluta il pubblico e conclude la sua carriera di attore. E su quante storie quasi del tutto vere si muove, sonnacchioso e gentile, il regista David Lowery, nel comporre questo piccolo labirinto a più voci di racconti mezzi veri e mezzi inventati, ricordàti, immaginati e rilanciati dai suoi personaggi, come lui irrimediabilmente smarriti nel piacere dell’affabulazione. Comincia, e non potrebbe essere altrimenti, il fuorilegge Forrest Tucker di Redford, il quale, per sedurre Sissy Spacek, che ha abbordato immediatamente dopo aver rapinato una banca, pensa bene di raccontarle la sua arte di rapinatore-con-stile. Una conversazione lunga e sorniona, in cui ai serafici primi piani dei due maturi amanti si alternano, nella prima delle svariate scatole cinesi congegnate da Lowery, le immagini dei successivi passaggi di quell’appuntamento.

“Old Man & the Gun”: l’addio al cinema del ribelle Redford

Annunciato come l’ultimo film di Robert Redford, The Old Man & the Gun regala a questa icona del cinema made in USA l’occasione per un addio alle scene tutt’altro che scontato. Attraverso il personaggio realmente esistito di Tucker, l’old boy Redford sembra voler rivendicare le proprie scelte e il proprio passato, in primo luogo cinematografico, di libero contestatore e combattente. Una lotta affrontata con quel sorriso mai invecchiato da bravo ragazzo a stelle e strisce, un’atleta biondo e rassicurante arrivato fuori tempo massimo nell’America che aveva già smesso di credere nel mito wasp che il giovane Robert si trovava stampato sul volto. È così che da Corvo rosso non avrai il mio scalpo a La stangata, da Tutti gli uomini del presidente a I tre giorni del Condor fino al dolente Il cavaliere elettrico, i suoi personaggi hanno incarnato come pochi altri la capacità del singolo di opporsi a regole e costrizioni dettate dall’alto.