Archivio

filter_list Filtra l’archivio per:
label_outline Categorie
insert_invitation Anno
whatshot Argomenti
person Autore
remove_red_eye Visualizza come:
list Lista
view_module Anteprima

“La casa dalle finestre che ridono” favola macabra contadina

L’unicità dell’opera risiede nella personalissima visione di Avati, che si approccia al genere a più riprese, l’ultima delle quali è Il signor Diavolo. L’autore rifugge tanto il labirintico contesto della metropoli notturna quanto l’isolamento di tetre magioni in boschi inospitali. Avati prende piuttosto la famigliare realtà del paesino di campagna, che ha conosciuto quando sfollato per via della guerra, e ne orrorifica le dinamiche culturali, facendo emergere dalla favola contadina un sottotesto macabro ed esoterico.

“Lei mi parla ancora” e la storia dell’amore

Lei mi parla ancora è una struggente storia di fantasmi e come tutte le storie di fantasmi è una storia d’amore. Di più: l’ambizione di Avati è quella di trattarla come la storia dell’amore più che di un amore, dove l’anima persa rimasta sulla terra combatte strenuamente per continuare a convivere con chi non c’è più. L’amore che rende immortali. È incredibile la naturalezza mai artefatta, debitrice alle suggestioni della pagina scritta ma risultato di una forte padronanza del dramma, con cui Avati costruisce un tempo che non esiste, dove convivono il qui e l’aldilà, la vita e la morte, i corpi e i fantasmi. Con un valore aggiunto, che si chiama Renato Pozzetto. Forse il ragazzo d’oro che aspettava da sempre.

Venerati maestri del cinema contemporaneo

A chiusura del 2019, approfondiamo il tema dei “venerati autori”. I grandi cineasti della vecchiaia. In fondo è stato comunque l’anno dei maestri, aperto dalla lectio magistralis più anarchica: quella di Clint Eastwood (quasi novant’anni, ma chi ci crede?), il corriere che continua a dirci che non esiste un mondo perfetto. Ciclicamente promette che non tornerà di nuovo in gioco: e quando pensi che sia l’ultima volta, sfoderi la retorica del testamento, ti consoli nel ritrovarlo dietro la macchina da presa… ecco che ritorna. E poi Allen, Avati, Bellocchio, Leigh, Polanski, Scorsese, e altri. 

Carlo Delle Piane, una faccia cubista

Come fai a dimenticarla, una faccia come quella di Carlo Delle Piane. E la gobba del naso, gli occhi stralunati, la statura minuta. Un’immagine cubista, quasi una caricatura che ha preso vita. Il caratterista per eccellenza. Allora ribaltiamo il discorso: ce l’abbiamo noi, quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, quando vediamo sullo schermo Carlo Delle Piane. Perché di fronte a una faccia tanto unica, un’espressione al contempo sperduta, maliziosa e malinconica, possiamo saltare da una reazione all’altra: ridere d’istinto, squadrare dall’alto della nostra opinabile convinzione d’esser più benfatti oppure provare quel moto d’affetto che reclamano i diversi o, all’opposto, un senso di repulsione.

Due o tre cose su Pupi Avati

Nelle sue tante diramazioni, Avati ha realizzato un cinema che non somiglia a niente, dimostrando la propria intelligenza d’autore anche quando, prima di altri, ha visto nella televisione una nuova possibilità per raccontare una storia. Pensiamo alle miniserie semi-autobiografiche Jazz Band, Cinema!!! e Dancing Paradise, che realizza tra il 1978 e il 1982 mentre la sua attività cinematografica è ancora felicemente schizoide. L’Avati degli anni Settanta, infatti, è una scheggia impazzita, un talento forse sì alla ricerca di un’identità precisa ma soprattutto svincolato, esaltante, scatenato. Esplora le derive più impreviste del fantastico dentro generi sempre rinnovati, privilegiando il sovrannaturale nello scandagliare un orizzonte di perdenti. La tendenza eccentrica la recupera un po’ negli anni Novanta, quando alterna passato e presente, arcani incantatori e amici d’infanzia, il biopic leggendario di Bix e quello ipotetico di Festival.