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“Il signore delle formiche” biopic del Potere

La condanna di Aldo Braibanti diventa l’occasione per il regista di girare un biopic non solo del mirmecologo (studioso delle formiche, da cui il titolo del film), filosofo, drammaturgo, partigiano comunista e unico condannato per plagio nella storia del diritto, ma anche e soprattutto del Potere italiano che opprime la differenza: certamente attraverso i suoi apparati correttivi e punitivi, ma, anche, in modo pervasivo, occupando e rovesciando spazi di opposizione e controcultura. Amelio tiene in equilibrio questa riflessione sul Potere, di cui mostra anche le pericolose ramificazioni nel nostro tempo con le richieste di emozioni e sentimenti che ci si attende da una storia d’amore.

“Il signore delle formiche” tra collettivo e privato

Il film è costruito attorno a due nuclei. Due metà ben definite. Due luoghi: l’Emilia-Romagna e Roma. Due protagonisti: Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio) e il giornalista Ennio (Elio Germano). Due storie che, per tornare al discorso di prima, mettono in campo una particolare commistione tra discorso collettivo e privato. Di fatto Il signore delle formiche è un film che vuole essere monito sociale e punto di riferimento morale, ma allo stesso tempo si costruisce tutto sulla storia di emarginati che si auto-escludono, serviti da una regia che li circoscrive in sfondi opacizzati chiusi sui loro volti e totalmente disinteressata alle folle.

Porte aperte ad “Hammamet”

Il film appassiona non poco nel mostrare l’apertura e l’acume dell’uomo e del leader, la sua visione ampia e priva di pregiudizi, la lucidità affettiva nel rapporto con i figli e i nipoti e quella politica nel confronto con colleghi e avversari. In una parola: il suo carisma. Il problema del film di Amelio non è la mancanza delle risposte, ma che queste domande non risuonino con la solennità e la severità necessarie. Se terremoto doveva essere, non sentiamo la terra muoversi sotto i nostri piedi. Se una finestra doveva essere rotta, non ci sentiamo in pericolo per i vetri a terra.

“La donna che visse due volte” e la critica

Non possiamo abbandonare il ricordo di La donna che visse due volte – presentato in queste settimane in tutta Italia per il progetto Cinema Ritrovato al cinema – senza aver (ri)letto un po’ dell’accoglienza critica del film, notoriamente uno dei più discussi di Hitchcock. Ecco una ricca antologia. Come scrive Gianni Amelio: “Vertigo non è solo un film di morti. È anche – o soltanto – un film di vivi che non possono amare. E ci fa venire davvero i sudori freddi (sueurs froids, come da titolo francese). Ma non perché c’è una porta che scricchiola o una mano che agita un coltello. Perché ci insinua un sospetto: forse il solo amore eterno di cui siamo capaci è quello per chi non ci appartiene più. L’amore che non muore è l’amore per un fantasma”.

Venezia 2017: “Casa d’altri”

Gianni Amelio (Leone d’oro nel 1998) è in laguna – oltre che per presidiare la giuria della sezione Orizzonti -con il suo nuovo corto Casa d’altri presentato come evento speciale alla Mostra D’arte Cinematografica di Venezia. Una testimonianza agghiacciante di ciò che, ad un anno dal devastante terremoto, stanno ancora subendo gli abitanti di Amatrice. Le residenze quasi pronte ad accoglierli vengono descritte come “tutte uguali e piccole ma nell’insieme vivibili” dall’ingenuo e sbadato sguardo di un bambino.