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Fellini si racconta

In occasione delle celebrazioni felliniane, proseguiamo con la pubblicazione di alcuni estratti di articoli che scrittori, poeti e intellettuali hanno dedicato al Maestro e al suo cinema, contenuti nel fondo Calendoli. È la volta di Bernardino Zapponi di cui quest’anno cade il ventennale della scomparsa (Roma, 4 settembre 1927 – 11 febbraio 2000). Condivise con Fellini l’inizio della sua carriera in veste di umorista nella redazione del periodico Marc’Aurelio. Inventore di un nuovo linguaggio fortemente ironico che mescola sapientemente il registro comico-popolaresco con quello aulico e poetico della letteratura, produsse centinaia di testi per la radio, il teatro e la televisione. Sceneggiatore visionario con incursioni nel macabro e nel grottesco allacciò un perfetto sodalizio con Fellini alla fine degli anni Sessanta: Tre passi nel delirio (1968), Satyricon (1969), I clowns (1970), Roma (1972), Il Casanova (1976) e La città delle donne (1980).

Fellini, un moderno Petronio

In occasione delle celebrazioni felliniane, proseguiamo con la pubblicazione di alcuni estratti di articoli che scrittori, poeti e intellettuali hanno dedicato al Maestro e al suo cinema, contenuti nel fondo Calendoli. Oggi proponiamo un articolo di Luca Canali, grande latinista, scrittore e poeta scomparso nel 2014, su Fellini Satyricon (1969), apparso su “L’Espresso” il 23 febbraio 1969. Le sue considerazioni nascono da un coinvolgimento diretto nella sceneggiatura elaborata da Fellini e Zapponi. Il suo contributo fu fondamentale; selezionò i materiali delle diverse edizioni critiche del testo di Petronio, elaborò la prima stesura dei dialoghi in latino e infine collaborò attivamente alla definitiva resa in italiano. La lettura che dà Canali è dunque non solo interna all’opera, ma è in fieri

Federico lost in translation a New York

In occasione delle celebrazioni felliniane, proseguiamo con la pubblicazione di alcuni estratti di articoli che scrittori, poeti e intellettuali hanno dedicato al Maestro e al suo cinema. Dopo Italo Calvino, è la volta di Indro Montanelli che in occasione del grande successo ottenuto negli Stati Uniti da Le notti di Cabiria (1957), scrive un pezzo sull’accoglienza trionfale ricevuta da Fellini e Giulietta Masina a New York (“Il Corriere”, 29 dicembre 1957). Il cinema non è fatto solo di film. La fascinazione che esercita sul pubblico esce dai set e dalle sale cinematografiche. Per vivere ha bisogno di costruirsi una propria mitologia che si nutre delle vite dei personaggi che lo popolano. Fellini è tra i molti, simbolo, vittima e al tempo stesso carnefice per eccellenza di questo meccanismo. Montanelli ne fa un ritratto perfetto.

“Amarcord” e la memoria inventata

In occasione delle celebrazioni felliniane, pubblicheremo alcuni estratti di articoli che scrittori, poeti e intellettuali hanno dedicato al Maestro e al suo cinema. L’idea di raccoglierli in una pubblicazione è nata qualche anno fa, quando per la prima volta si mise mano ai 770 ritagli stampa sull’autore, presenti nel Fondo Giovanni Calendoli; da questa imponente raccolta sono emersi una cinquantina di pezzi di grandi firme della cultura italiana e dei quali quasi la metà non segnalati nella monumentale BiblioFellini, 2002-2004. Questo articolo si avvale in parte di questo tesoro di cui vi daremo qualche altro assaggio.

“Kapò”, un’eroina senza eroismo

L’idea di Kapò, inizia a farsi strada da un soggetto di un giornalista francese, Dédé Lecaze, deportato a Mauthausen e capitatogli fra le mani un po’ per caso. Era la storia vera di un boxeur dilettante che riuscii a sopravvivere nel campo di concentramento perché i suoi match rappresentavano uno svago per gli ufficiali delle SS. S’intitolava Il tunnel. Durante la preparazione del film, Pontecorvo e Franco Solinas (suo inseparabile amico e sceneggiatore) lessero Se questo è un uomo di Primo Levi, restandone molto colpiti, soprattutto quando lo scrittore racconta che, per mantenere l’ordine, le SS si servivano di prigionieri che sapevano il tedesco e le lingue degli altri deportati. Questi ultimi venivano inquadrati nelle gerarchie dei carnefici, trasformandosi nei peggiori aguzzini dei loro stessi compagni.

La genesi di “Miracolo a Milano”

La genesi di questo film risale a molti anni prima e coincide con l’inizio del rapporto osmotico che lega Cesare Zavattini e Vittorio De Sica per tutta la vita. Nel 1939, De Sica pone fine ai tentennamenti del regista e produttore Giuseppe Amato, comprando direttamente da Zavattini il soggetto dal titolo Diamo a tutti un cavallo a dondolo, con l’intenzione di proporlo al regista Mario Camerini. Il cantore di Luzzara, lungimirante, gli scrive: “Caro De Sica, aspetto con ansia che tutto vada bene, perché sento che per la prima volta nasce una collaborazione assolutamente eccezionale. Io credo che nessuno abbia come Voi la capacità di penetrare sino in fondo alla poesia del soggetto, rendendolo comunicativo e direi popolare”.

“Jules e Jim” e la riforma della legge sulla censura cinematografica italiana

Il ritorno in sala di Jules e Jim restaurato permette indagini storiche. Come quella sulla censura.  Così recita il testo originale del primo visto di censura negato al film: “La Commissione di revisione cinematografica (prima sezione) esaminato il film il giorno 30 maggio 1962 esprime, a maggioranza di 5 contro 2, parere contrario alla proiezione in pubblico del film stesso ravvisando, nel complesso della pellicola e soprattutto nella seconda parte di essa, un crescere di offesa al buon costume, inteso questo soprattutto sotto il profilo dell’ordine e della morale familiare. Il film, infatti, svolge la tesi d’un marito, innamoratissimo della moglie, che, pur di non perderla, acconsente e quasi predispone i congressi carnali di lei con l’amante sotto lo stesso tetto coniugale. La Commissione decreta di non concedere il nulla osta alla rappresentazione in pubblico del film”.

“La classe operaia va in Paradiso” e il lavoro della sceneggiatura

La classe operaia va in paradiso è il secondo atto della così detta ‘trilogia del potere’, iniziata con Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) e che si conclude con La proprietà non è più un furto (1973). Rappresenta inoltre lo zenit del sodalizio Pirro/Petri/Volonté; una sinergia di grandi talenti ma dai caratteri estremi, come per certi aspetti sono stati gli anni della contestazione. In Il cinema della nostra vita, Pirro ha dichiarato che “fu proprio il titolo a ispirare la scena finale, allorché alla catena gli operai sognano senza illusioni il loro paradiso. Nessuno fra quanti presero parte al film e tanto meno la critica colse il significato di quella scena, così disperata e premonitrice”.

“Blow-Up” e la critica

La Cineteca di Bologna porta il restauro di Blow-Up nelle sale italiane, nell’ambito del progetto Il Cinema Ritrovato al cinema, a 50 anni dalla Palma d’Oro del 1967. Occasione per discutere di un film che non ha mai smesso di affascinare gli spettatori e che si è prestato, come tutti i capolavori, a letture differente e persino fraintendimenti. La ricostruzione della ricezione critica non può che essere un punto di osservazione privilegiato. Dalla rassegna stampa italiana e francese d’epoca conservata negli archivi della Cineteca, troviamo per esempio l’accoglienza a Cannes 1967 e l’esordio del film nelle sale italiane e francesi.

Cinema Ritrovato 2017: Augusto Genina a Berlino

Sulle tiepide, se non negative, recensioni italiane a Addio giovinezza!, cala il sipario. Il Genina regista non lavorerà più per la cinematografia italiana fino al 1936 (escludendo l’omaggio cinematografico al grande attore Amleto Novelli), pur mantenendo rapporti con la madre patria in veste di produttore con l’AIDA (Autori Direttori Italiani Associati). Si trasferisce a Berlino dove la vivacità del mercato cinematografico gli permette di realizzare e vendere i propri film. Questa è la sua storia.

Cinema Ritrovato 2017: “Una domenica d’agosto” e le fonti critiche

Nella sezione Una domenica a Bologna, dedicata ai racconti di cinema che si svolgono appunto la domenica, non poteva mancare Una domenica d’agosto (1950) di Luciano Emmer, suo esordio nel lungometraggio a soggetto. Grazie alla documentazione del suo archivio, conservata presso la biblioteca della Cineteca, è possibile respirare nuovamente l’atmosfera in cui il film è stato girato e sapere quale accoglienza il pubblico e la critica gli hanno riservato.

“Blow-up” a Cannes, cinquant’anni fa

Un grande restauro per festeggiare i 50 anni del Grand Prix (così si chiamava allora la Palma d’Oro) vinta da Blow-up al Festival di Cannes nel 1967: la versione restaurata del film di Michelangelo Antonioni.