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Riguardando “Serpico” di Sidney Lumet

Serpico è uno dei più chiari prodotti della New Hollywood, come evidenziano il focus su New York (Lumet non ha mai girato un film a Los Angeles o dintorni), il budget relativamente povero e la presenza di un autore come Sidney Lumet che, inseguendo dappertutto lo scalmanato Serpico/Pacino, riesce a far risultare un’ampia metropoli come New York claustrofobica. Il senso di straniamento che provoca il film è perciò causato dal sovvertimento di ogni regola che lo avrebbe accomunato ad un qualunque biopic ma anche e soprattutto dall’impeccabile interpretazione di Al Pacino, che osa non abbellire o rendere più popolare il suo personaggio, mantenendolo con le contraddizioni, i tic e i problemi di ogni uomo

“Il mio nome è Nessuno” e il canto del cigno della mitologia western

Bellissime e significative le scene che dipingono l’eterno inseguimento in bilico tra realtà e miraggio tra Beauregard e il Mucchio Selvaggio, che ricordano quasi la vana attesa de Il deserto dei Tartari, simbolo di un genere ormai maniera, che insegue solo la propria coda. A scanso di spiegoni nebulosi un po’ gattopardeschi come quello che chiude il film, è questa sensibilità meta-filmica a rendere Il mio nome è Nessuno un film profondo, nonostante i suoi molti difetti; l’ultimo film western di Sergio Leone, se lo si vuole intendere suo, è il definitivo canto del cigno della grandiosa mitologia della presa dell’Occidente.

“The Elephant Man” al Cinema Ritrovato 2020. Siamo tutti John Merrick

Forse ciò che distingue The Elephant Man è proprio quello che lo accomuna a tutti gli altri film: il freak, il mostro, lo sfigurato. L’uomo mostruoso (sia esso nano, gigante o menomato) è una costante nella visione lynchana ma, in quasi tutte le opere, partendo da Eraserhead e arrivando fino a Twin Peaks, esso è un’entità trascendentale, sibillina, sconosciuta e incomprensibile. Tutto, fuori che umano.  È invece chiaro che proprio questo John Merrick è: un uomo. È su questa aspettativa che inizialmente gioca il regista: sottraendocelo ostinatamente dallo sguardo vuole dapprima creare in noi l’idea del mostro estraneo, per poi presentarci inaspettatamente l’uomo, non venuto da chissà quale dimensione per trasmetterci criptici segreti, ma desideroso anch’egli, come tutti, di felicità, amore e comprensione.

Buster Keaton e il disorientamento inarrestabile

Il Johnnie Gray di Come vinsi la guerra non è il solito personaggio keatoniano a disagio in un mondo che gli sta troppo stretto ma, tranne in alcune scene, è sorprendentemente arguto e addirittura capace di usare l’ambiente, quello stesso in cui molte volte lo abbiamo visto disorientato e disambientato, contro i suoi nemici. Rispetto ad altri suoi film, forse anche grazie alla storicità della premessa, The General è più lineare e meno dispersivo, risultando in un vero e proprio flusso inarrestabile di coreografie, mimica e azioni che scorrono ad una velocità tale da rendere disorientato non tanto Keaton, ma lo spettatore. Vedere un film di Buster Keaton è sempre un piacere, ma lo è soprattutto in un film come The General.

“Mariti” e il cinéma vérité

Leggendo velocemente la sinossi di Mariti di John Cassavetes è inevitabile associarlo a numerosissime altre commedie dalla simile trama, da Amici miei di Monicelli al più recente Una notte da leoni. Eppure non esiste nulla di più lontano da quei film di Mariti; anzi, in verità, la stessa categorizzazione di “commedia” è incredibilmente riduttiva e fuorviante per un’opera come questa. È un film brutale, a tratti insopportabile per i personaggi, per gli attori e per noi spettatori. Ogni regola della cinematografia e ogni convenzione è scartata per la realizzazione invece di un’opera vera, genuina, verace. Quello di Cassavetes è puro cinéma vérité, quasi documentario. Le reazioni sono vere, così come le espressioni, i gesti. È difficilissimo capire dove si ferma l’improvvisazione e si rientra nello scritto, dove si fermano le lotte e si rientra nella coreografia.

“I figli della violenza” al Cinema Ritrovato 2019

I figli della violenza è un film convintamente progressista, quasi utopico, certamente antifascista. Buñuel indica chiaramente la strada giusta per risolvere un problema universale, argomentando le sue convinzioni e confutando le antitesi, come quella del vecchio cieco che, nostalgico dell’epoca del dittatore Porfirio Diaz, è convinto che l’unico modo per risolvere la situazione sia attraverso l’eliminazione di tutti i giovani malfattori. Proprio per questo Los Olvidados è un film spiazzante, perché attualissimo in una società dove non si parla che di baby gangs e dove riemerge la tentazione di usare metodi giustizialisti e ingiusti.

“El Topo” al Cinema Ritrovato 2019

Jodorowsky mette a nudo l’ipocrisia della società borghese cristiana, preda di un fervore religioso quasi fanatico per un credo esso stesso deviato e corrotto. El Topo è, alla fine, un elogio della bruttezza, dell’imperfezione contro una perfezione paventata ma mai reale. “Troppa perfezione è un errore” ci ricorda El Topo dopo aver sconfitto un suo nemico, ma anche “la perfezione è perdersi”. E così El Topo ci fa perdere, per poi farci ritrovare, in un film che è più chiaro di quanto non si voglia ammettere.

“Spring Night, Summer Night” al Cinema Ritrovato 2019

Il film rappresenta un punto di svolta nel panorama della cinematografia americana, con il tentativo di sintetizzare le correnti del cinema europeo come la nouvelle vague francese e il neorealismo italiano per creare un nuovo modo di fare cinema, quasi un proto-cinema indie americano. Per questo motivo quest’opera appare modernissima agli occhi dello spettatore odierno, sia per la messa in scena, sia per il suo affrontare un argomento tabù come l’incesto tra fratello e sorella.

Cinema Ritrovato 2017: “Io… e il ciclone”

Buster Keaton una volta disse: “Quando facevamo cinema, noi mangiavamo, dormivamo e sognavamo cinema”. Una passione ben visibile e convinta per la settima arte che trova il suo apice in forse una delle più celebri e celebrate opere del comico statunitense, Io…e il ciclone, che però rappresenta anche l’inizio del suo inesorabile ed inevitabile declino, essendo l’ultima pellicola prima di firmare un contratto con la major Metro-Goldwyn-Mayer, che avrebbe, da quel momento, fortemente limitato la sua fino a quel momento indiscussa libertà artistica.

Cinema Ritrovato 2017: “A casa dopo l’uragano”

Molti, troppi film della cosiddetta “Vecchia Hollywood” hanno più volte raccontato lo stesso tipo di trama con lo stesso tipo di personaggi. Troppe volte abbiamo dovuto vedere e rivedere le stesse battute, gli stessi attori interpretare gli stessi personaggi, che cambiavano di film in film, di genere in genere restando però sempre uguali. Primo fra tutti spicca in questo tipico schema di personaggi l’eroe forte, arguto, ironico, intelligente, probabilmente invulnerabile e soprattutto, la cosa più importante, maschio, non nel senso del sesso, ma del comportamento e del portamento fiero, orgoglioso e superiore, a cui è concesso tutto e lamentato niente.

Cinema Ritrovato 2017: “Monterey Pop”

Girato in 16mm su delle allora modernissime macchine da presa maneggiate, per le riprese, da non più di cinque operatori, il film del regista, premio Oscar alla carriera, D. A. Pennebaker ci trasporta all’interno del Monterey Pop Festival, svoltosi in California dal 16 al 18 giugno 1967 e che vide la partecipazione di artisti come Jimi Hendrix, Janis Joplin, Simon & Garfunkel, i Jefferson Airplanes e i Who solo per citarne pochi, acclamati da una folla di più di 55.000 persone.

Cinefilia Ritrovata 2017: “Sangue sulla Luna”

Il film racconta la parabola di Jim Garry, mercenario disilluso che viene assoldato dal potente mandriano, e vecchio conoscente del protagonista, Tate Riling per aiutarlo a strappare, con tutta la forza necessaria, i capi d’allevamento del rivale Lufton. Però, innamoratosi della figlia di Lufton e avendo compreso la disgustosa meschinità di Riling, Garry deciderà, anche per redimersi da errori passati, di passare dalla parte di Lufton, combattendo per la libertà e la giustizia.

Cinema Ritrovato 2017: “Magnifica Ossessione”

Se fosse uscito ai giorni nostri, probabilmente, Magnifica ossessione sarebbe stato preso come una parodia, una presa in giro, dei film così struggentemente ed irriducibilmente romantici come Via col vento o Casablanca. Invece quando uscì nel 1954, tratto da un romanzo di Lloyd Douglas, che il regista Sirk disprezzava ardentemente, l’esagerata melodrammaticità della pellicola non sembrò disturbare o interdire più di tanti, cosa che spinse il regista ed i produttori a riproporre la coppia Rock Hudson/Jane Wyman nel film dell’anno successivo Secondo amore.

Cinema Ritrovato 2017: “Scarface”

Scarface è una pellicola fondamentale, con un disperato bisogno di essere riscoperta sia per la sua funzione di precursore per tutti i film che anche oggi si cimentano nello stesso argomento sia per la sua lucidità e strabiliante modernità nel trattare questo altresì complicato tema, non risparmiandosi, fin dalle prime parole che scorrono sullo schermo, una violenta critica non tanto ai malviventi stessi, quanto all’incapacità del governo e delle istituzioni di affrontare e risolvere un problema di così grande gravità.