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“Prisoners of the Ghostland” di Sion Sono tra trash e analisi onirica

Sion Sono, soprattutto nei film recenti, ha spinto sulla recitazione sopra le righe con film sempre più eccessivi che quasi sempre sfiorano maliziosamente il ridicolo, senza mai perdere di vista la propria chiara denuncia sociale. Non sorprende quindi la scelta di Nicolas Cage come protagonista, attore che, al di là delle proprie effettive capacità, negli ultimi anni è riuscito a lavorare molto proprio grazie alla sua sovra-recitazione, i suoi estremismi, gli occhi da pazzo che già l’avevano reso famoso agli inizi e sembrano essere ancora, nonostante gli anni che passano, la sua arma vincente in film come questo.

Dichiarazione d’amore al cinema. “Effetto notte” rivisto oggi

Effetto notte è un’opera di estrema vitalità, e probabilmente Truffaut realizzerebbe questo film anche oggi, in un cinema pervaso dalle tecnologie digitali e immerso in un mercato globalizzato. Questo perché il film è una dichiarazione d’amore per la settima arte oltre ogni ostacolo e narra di una passione che non si arresta mai, neanche mentre si dorme. Sarebbe una magia vedere lo stesso trasporto e sincerità con cui il regista ci ha immerso nel cinema del suo tempo in un film che parli dell’industria di oggi.

“Ariaferma” e l’estetica del labirinto

Dopo L’intrusa (2017) arriviamo al 2021 con Ariaferma, un film a più alto budget che vede come interpreti principali Toni Servillo e Silvio Orlando, nei ruoli rispettivamente dell’ispettore capo di un carcere in fase di smantellamento e del più influente dei malavitosi in esso rinchiusi. Il carcere dove il film si svolge si trova immerso tra le asperità sarde ed è stato svuotato della gran parte dei suoi detenuti e dei suoi operatori in vista della chiusura. Al suo interno sono rimasti dodici detenuti, opportunamente spostati nella zona di prima accoglienza dei nuovi arresti, e una manciata di guardie frustrate all’idea di non poter rientrare a casa come speravano. Non si sa per quanti giorni dovrà durare questa convivenza forzata, privata di ogni attività a parte l’ora d’aria, con le visite sospese e la cucina ferma.

“Reflection” e la guerra stanca

Torna a Venezia il regista ucraino Valentyn Vasyanovych, che nel 2019 aveva vinto il premio come Miglior Film nella sezione Orizzonti con il suo Atlantis. In Reflection continua l’osservazione del trauma provocato dal conflitto russo-ucraino ancora in corso, mantenendo le proprie cifre di stile che avevano già reso indimenticabile il film precedente. Lunghe sequenze a camera fissa e poche, magnetiche riprese a seguire nei momenti di maggiore tensione del film. Il tutto per raccontare una guerra stanca, dove ristretti gruppi armati si affrontano e le giornate sono frammentate tra sessioni di tortura, interrogatori e scambi di prigionieri, che si svolgono con un distacco disarmante e faticoso.

“Il gioco del destino e della fantasia” e le relazioni turbate

Il film ci porta a vivere tre episodi, slegati tra loro, avvicinandoci drasticamente ai personaggi osservandoli in interminabili piani animati unicamente dal dialogo, da cui emergono le relazioni reali o mancate e le tensioni che queste hanno creato nella loro vita. Alla apparente semplicità della messa in scena si contrappone la ricchezza delle trame di queste storie, dove ribaltamenti e colpi di scena si avvicendano in punta di piedi, senza mai rompere il superficiale contegno che contraddistingue la cultura giapponese. I diversi episodi sono intervallati da una musica da camera che sembra accompagnare la chiusura di un sipario, ma che anche pone un ulteriore gradino di familiarità con le vicende narrate.

“We Were Young” al Cinema Ritrovato 2021

Luci e ombre governano in questo film del 1961 che racconta le iniziative partigiane in Bulgaria. In questo contesto di cui siamo meno abituati a sentir parlare, numerosi giovani si sono opposti all’imperversare dell’imposizione fascista compiendo piccoli gesti di ribellione come quelli raccontati in questo film. We Were Young è stato scritto dal marito della regista, ed attinge dall’esperienza diretta dei due, entrambi partigiani in gioventù. Spesso quando si parla di Seconda guerra mondiale i racconti sono polarizzati tra amici e nemici, partigiani e nazisti, mentre qui entra in gioco il sistema di relazioni tra combattenti, in cui i giovani sentono di dover sacrificare i propri affetti per un’ideale più alto, in un’opera seconda che mostra straordinaria inventiva e cura estetica.

“Ali au pays des merveilles” al Cinema Ritrovato 2021

Il documentario di Djouhra Abouda e Alain Bonnamy nasce da un forte desiderio di espressione personale, ma si realizza nel confronto con il mondo esterno, documentando il preciso contesto degli immigrati algerini in Francia negli anni ’70. I registi scelgono di riprendere in strada, nelle fabbriche e nei cantieri, cogliendo le immagini di centinaia di lavoratori sfruttati, e la voce narrante che ci accompagna in questo film appartiene proprio a questi immigrati, che si raccontano senza alcuna mediazione da parte degli autori. In questo modo viene dato uno spazio all’espressione demoralizzata di questi cittadini, che lamentano di doversi accontentare dei lavori più umili e sfiancanti, di non poter avere accesso alle professioni per cui sarebbero formati, di essere divisi dalle proprie famiglie e dal proprio paese natale, di vivere in baracche e in condizioni sanitarie disastrose, oltre ad essere sempre denigrati e declassati in quanto arabi.

Il cinema al femminile, plurale

Il programma di cortometraggi della rassegna Femminile Plurale propone tre film collegati da un filo rosso, quello dell’osservazione della gioventù in contesti problematici. In questi tre film traspare anche un altro elemento davvero interessante, cioè l’impronta militare data alle forme di aggregazione di questi giovani (per altro tutti uomini) necessaria per controllarli ma che finisce per modellarne l’atteggiamento spingendoli verso il machismo, la forza bruta e infine una sensazione di superiorità. Un’esperienza al limite del carcerario, che porta al distacco dalla vita reale, e dopo la quale non si ha più nulla da perdere.

 

‘Il Federale’ tra dramma e risata

Un vero quadro in movimento che riporta il ventaglio di situazioni ed esperienze che hanno contraddistinto il paese, attraverso la struttura del racconto a episodi che si presta perfettamente alla complessità di questo contesto, come si era già visto in un film per altro molto diverso come Ladri di biciclette. Sono film come questo che testimoniano l’acuta osservazione e l’infinita creatività degli autori italiani di quegli anni e che hanno fondato la commedia all’italiana, quel preciso incontro di dramma e risata che ha reso unico il nostro cinema. Ed è un arricchimento costante per gli appassionati scoprire lo stesso ottimo equilibrio in decine e decine di film, a differenza da ciò che vediamo nel cinema italiano odierno. Traspare l’urgenza dei temi, ma ancor di più l’ingegno della scrittura nel condensare numerosi elementi, tutti importanti, dando ad ognuno il giusto peso all’interno di una singola storia.

“The Girl” al Cinema Ritrovato 2021

Questo film si inserisce con successo in una riflessione più ampia portata avanti dai registi dell’Est Europa in quegli anni, in cui all’aumentata libertà delle donne aumenta anche la loro malinconia, un movimento depresso e laconico, dovuto spesso e volentieri proprio alla perdita di ogni certezza e alla difficoltà a trovare se stesse e accettare il giudizio altrui. Mészáros ci racconta questa tensione con un film all’apparenza innocuo, semplice, in cui una ragazza vaga per il mondo, intessendo piccole relazioni e cambiando prospettiva di continuo, accompagnata però sempre dalla stessa arguzia incorniciata dal taglio maschile dei capelli corvini. Per questo quando ci si chiede chi sia davvero Kati è difficile rispondere. È una filatrice, un’orfana, una donna a cui piace ballare o semplicemente una ragazza di Budapest? Per tutto il film sono gli altri a fornirci delle risposte, ma lei mai. E il suo film non può considerarsi concluso.

“Araya” al Cinema Ritrovato 2021

Araya (1959) è un documentario talmente intimo che sembra girato dagli stessi abitanti della penisola venezuelana dove questa storia si ambienta. Parlare di storia non è fuori luogo, poiché, nonostante l’intento antropologico, questo film prende le forme di un racconto umano e personale, identificando i suoi protagonisti con nomi, famiglie, storie e relazioni che, anche quando sono appena accennate, danno tridimensionalità e autenticità a questo mondo che ci sembra così lontano. Il film di Margot Benacerraf riesce con successo a coniugare diversi intenti, il documentario antropologico, la narrazione e la riflessione politica, donandoci un esempio raro di poesia misto a economia, ad efficacia del racconto. 

“Mandibules” tra leggerezza e critica sociale

Il film rivela con piccoli cenni una critica sociale a un mondo che non accetta la diversità, che plasma tutto a sua immagine e che è sempre pronto a credere al peggio. Eppure, in questo mondo può esistere anche l’armonia di un’amicizia scapestrata come quella dei protagonisti, interpretati da una coppia di attori comici francesi (Grégoire Ludig e David Marsais), in grado di creare una forte complicità sullo schermo, e che è sottolineata dai toni pastello della fotografia, che ci immerge da subito in un mondo di sogno, in una leggerezza vacanziera che ci aiuta a credere in un mondo dove tutto è possibile. L’estetica colorata e trasognata del film concorre ad alleggerire il nostro sguardo e predisporlo alla sconclusionata catena di eventi che ci viene proposta.

“Hong Kong Express” e la sua dirompente spontaneità

Hong Kong Express è un film lampo, girato in ventitré giorni durante i quali il progetto ha continuato a trasformarsi nelle mani del regista. I film di Wong sono in effetti dei miracoli programmatici, che dopo un infinito rimaneggiamento permettono comunque all’essenza dell’idea, della filosofia del suo autore, di emergere frammento dopo frammento con chiarezza disarmante. E questo è forse il film che più esprime l’estro del regista, la sua malinconia mista a confusione, la passione per gli incontri mancati, per le specularità e le ripetizioni che impediscono un progresso e anzi ci costringono a guardarci, a scendere a patti con le nostre manie e coi nostri rimpianti.