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Accettare l’ambiguità e il dubbio. Georges Simenon e gli otto viaggi di un romanziere

L’idea del viaggio, materiale e creativo, è dichiarata fin dal titolo come chiave di lettura per la mostra Georges Simenon. Otto viaggi di un romanziere, curata da John Simenon e Gian Luca Farinelli e allestita dalla Cineteca di Bologna. Un viaggio anche per i curatori, come loro stessi sottolineano nell’introduzione all’approfondito e ricco catalogo che accompagna l’esposizione: dieci anni di ricerche in archivi pubblici e privati, che hanno portato a mettere in dialogo nel vasto  spazio espositivo l’universo privato dello scrittore

“Il caso Belle Steiner” e l’ambiguità del desiderio

Dopo un lungo blocco distributivo per le accuse di abusi sessuali rivolte al regista Benoît Jacquot, arriva in sala questa seconda trasposizione cinematografica che, come la prima, si prende notevoli libertà rispetto al giallo di Simenon, riuscendo, tuttavia, a ricrearne fedelmente l’atmosfera di buona borghesia di provincia e la sottostante oscura visione della vita. Merito soprattutto dei due attori principali, Guillaume Canet e Charlotte Gainsbourg, che offrono un ritratto misuratamente ambiguo della coppia Pierre e Cléa.

“Il nibbio” tra azione e inchiesta

Indubbiamente, il regista Alessandro Tonda guarda anche al film d’azione che, come ha dimostrato con il suo debutto The Shift (2020), sa dirigere con la giusta attenzione al ritmo e alle sequenze più spettacolari. Un modello per Il nibbio è quindi la spy-story con girandola di location internazionali dove si alternano palazzi del potere e di sorveglianza globale e sporchi retrobottega in cui passano armi ed informazioni, resort di lusso e quartieri polverosi, catturati con la consueta tonalità seppia.

“L’erede” nella spirale della colpa

In L’erede la forma hitchcockiana della spirale iniziale è ricorrente, non solo a livello di geometria degli oggetti inquadrati (le pompe funebri hanno un’imponente scala a spirale, per esempio), ma anche come meccanismo narrativo profondo: tutto ruota attorno a un punto fisso, la presenza/assenza del padre, e ad un costante ritardare e non mostrare la minaccia che incombe fuori campo.

“Ciao bambino” lontano dal folklore

Se Napoli è spesso rappresentata cinematograficamente come uno spazio urbano rumoroso, affollato e ininterrotto, casermone dopo casermone, su cui mettere le mani, Ciao bambino, coerentemente con il suo progetto di decostruire il folklore della malavita, ci mostra invece sorprendentemente i silenzi e gli spazi vuoti, come l’enorme piazzale dove Anastasia viene fatta prostituire.

“Amerikatsi” metaforico e metafilmico

In questi tempi di guerre occultate, genocidi negati e minacce totalitarie, un film come Amerikatsi di Michael A. Goorjian è certamente tempestivo per obbligarci ad una riflessione su questi temi, anche attraverso uno stile personale contraddistinto da un’ironia surreale e straniante che getta uno sguardo non convenzionale sul genocidio armeno e sul successivo processo di rimpatrio incoraggiato da Stalin.

“La cosa migliore” e il giudizio sospeso

La macchina da presa di Federico Ferrone segue con sicuro piglio documentaristico i personaggi di La cosa migliore attraverso gli spazi del nostro Nord-Est post-industriale, freddi e sovrastanti nella loro monumentalità. Parcheggi e bar dove si cercano forme di creatività e di aggregazione, casermoni geometrici dove la vita famigliare non ha spazi di riservatezza per elaborare perdite o sentimenti di intimità, fabbriche senza più una catena di montaggio ma comunque alienanti e sempre organizzate secondo un’ottica di caporalato e nonnismo.

“Terra incognita” e i confini tra natura e industria

Terra incognita compie una complessa ricerca iconografica, fatta di accostamenti di paesaggi naturali e industriali, apparentemente opposti, che tuttavia contengono, al loro interno, continui rimandi all’altra realtà, non solo nel carattere monumentale delle Alpi e della costruzione della centrale, ma anche in dettagli apparentemente minori, come le immagini di porte, antri e tunnel che contraddistinguono sia la natura che l’impianto nucleare.

“A cavallo della tigre” disarcionati dal boom

Realizzato nel 1961, A cavallo della tigre riuniva il meglio della commedia all’italiana. La sceneggiatura era, infatti, opera dello stesso regista del film, Luigi Comencini, fresco dei grandi successi di Tutti a casa (1960) e del dittico Pane, amore e fantasia (1953) e Pane, amore e gelosia (1954), Mario Monicelli e della collaudata coppia Age e Scarpelli, che aveva già collaborato con Comencini per il precedente Tutti a casa.

“La prima notte di quiete” come melodramma queer

Gran successo di pubblico del 1972, La prima notte di quiete di Valerio Zurlini viene solitamente rappresentato dalla critica come un iconico melodramma dell’eterosessualità. All’enfasi melodrammatica contribuiscono la colonna sonora e le numerose citazioni letterarie romantiche. Ma vale la pena andare più a fondo per trovare nuovi sguardi e nuove analisi di questa celebre opera con Alain Delon. 

“La Ciociara” e la consacrazione della star

La Ciociara (1960) apre la decade della definitiva consacrazione di Sofia Loren a star internazionale, status a cui il film di De Sica contribuisce in modo determinante facendo vincere all’attrice, tra i tanti prestigiosi riconoscimenti, quello più ambito: l’Oscar per la migliore interpretazione femminile. La Ciociara doveva essere inizialmente il film di due star, con Anna Magnani nel ruolo di Cesira e Loren in quello della figlia. I dubbi e il rifiuto finale della Magnani furono alla base della trasformazione del film in un veicolo per la Loren, unica vera star.

“La morte è un problema dei vivi” e i margini della società

Teemu Nikki, autore del premiato Il cieco che non voleva vedere Titanic (2021), torna ad occuparsi di malattia e di vite ai margini della società, i cui capitoli sono scanditi sapientemente da una colonna sonora sospesa tra jazz e rock finlandese degli anni ’80 a sottolineare le differenze tra i due personaggi principali, ma anche il destino che li lega. Infatti, Risto e Arto ascoltano alternativamente i diversi generi di musica all’interno della nuova “casa” comune in cui si sono trasferiti.

“Sbatti il mostro in prima pagina” evocativo del cinema politico post-68

Sbatti il mostro in prima pagina (1972) è immediatamente evocativo della capacità di un certo cinema italiano degli anni che hanno seguito il ’68 e preceduto il terrorismo di creare dibattito e passione politica. La denuncia del controllo dell’informazione da parte del capitale a scopo di contenimento politico, tuttavia, non fu unanimemente considerata in chiave anti-padronale, nonostante il soggetto di Sergio Donati, a cui inizialmente era stata affidata anche la regia, fosse stato rielaborato da Bellocchio e Goffredo Fofi, autore vicino alla galassia extra-parlamentare.

“Fremont” tra migrazione e futuro

Co-sceneggiato da Caterina Cavalli, reduce dal successo di Amanda (2022), e dal regista britannico-iraniano Babak Jalali, Fremont racconta, ancora una volta, una storia di immigrazione negli Stati Uniti alla ricerca di un futuro migliore, ma con un bianco e nero asciutto e una scrittura priva di retorica edificante con annessa mobilità sociale. La protagonista Donya, profuga afghana, dice chiaramente di voler un futuro migliore al suo originale psicanalista che la conduce con bizzarra brutalità a confrontarsi con il suo disturbo da stress post-traumatico.

“L’infernale Quinlan” e la diva Marlene

Annunciato da Newsweek come la grande occasione per il ritorno a Hollywood del prodigio Welles dopo dieci anni trascorsi in Europa, L’infernale Quinlan (1958) ebbe invece una lavorazione complicata che culminò con la decisione della Universal di esautorare il regista dalla postproduzione e incaricare Harry Keller di dirigere alcune scene per migliorare la continuità e la comprensibilità del film.

“Il bandito della casbah” onirico oltre il realismo

È impossibile non rimanere affascinati da questa figura di malvivente fragile che sogna di ritornare in patria insieme alla donna che ama e questa è un’altra peculiarità non banale del film, anche se largamente condivisa con altri film del “realismo poetico” come Il porto delle nebbie (1938) e Alba tragica (1939), sempre con Gabin: il suo spingerci a empatizzare con un personaggio, che, più che un criminale, sembra un senza terra, e più che dalla polizia, appare essere braccato da un destino incombente.

“I monelli” e i panni sporchi della Spagna franchista

L’esordio alla regia di Carlos Saura è un affresco della condizione dei giovani sottoproletari nelle degradate periferie urbane della Spagna franchista. I sei protagonisti, uniti da una forte solidarietà, attraverso furti e aggressioni, cercano di coronare il sogno di uno di loro di diventare torero. Pesantemente censurato e poi paradossalmente scelto dal regime per rappresentare la Spagna a Cannes, ritorna nella versione originale grazie a un complesso lavoro di restauro della Filmoteca Española.

“La città si difende” e il noir all’italiana

Pur ricevendo il Premio per il miglior film italiano alla dodicesima edizione della Mostra del cinema di Venezia, La città si difende non fu generalmente apprezzato dalla critica italiana né nella cornice veneziana né all’uscita nelle sale. Queste valutazioni hanno contribuito al progressivo oblio a cui il film è stato consegnato, oscurando così anche quella rielaborazione di un immaginario noir attraverso modelli nazionali che il cinema italiano inizia a compiere fin dai primi anni Cinquanta .

“In nome della legge” e la rappresentazione della mafia

Primo film a occuparsi esplicitamente di mafia nel dopoguerra basandosi sul romanzo Piccola pretura (1948) del magistrato Giuseppe Lo Schiavo, ma anche primo poliziesco o primo western italiano a seconda delle diverse prospettive e sensibilità di genere, In nome della legge di Pietro Germi è rimasto in una certa parte della memoria cinematografica della critica italiana come un modello immorale, seppur di successo e di forza drammatica, di dialogo tra Stato e mafia che ha esteso la sua lunga ombra anche sul nostro successivo cinema civile.

“Gioventù perduta” e la borghesia criminale di Germi

Gioventù perduta bilancia questa prima illustrazione di una classe borghese criminale, che verrà ripresa successivamente da Antonioni ne I vinti (1953) e in film ormai dimenticati come Gioventù alla sbarra (1953) di Ferruccio Cerio e I colpevoli (1957) di Turi Vasile, affiancando alla storia del delitto quella dell’indagine. Questa seconda dovrebbe mostrarci la speranza di chi, per citare il pressbook, “per il bene combatte con coraggio e lealtà”.