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“Achilles” metaforico e reale

“Il mio film è un invito agli artisti a confrontarsi più profondamente con le sfide del mondo reale”, dichiara il regista e sceneggiatore iranaiano Farhad Delaram a proposito del suo lungometraggio d’esordio Achilles. Certamente le sue parole evocano il lungo viaggio del protagonista del film, Farid soprannominato Achilles, che ha lasciato la carriera artistica per diventare un assistente ortopedico e soffrire insieme a chi è confinato nell’ospedale di Teheran dove lavora.

“Mother, Couch” e i dialoghi con la propria madre

Un’anziana donna con una vistosa acconciatura bionda è seduta su un costoso divano verde in uno sterminato quanto malconcio mobilificio nel nulla americano. Nonostante il devoto figlio David le chieda più volte di alzarsi in modo da andare via, lei si rifiuta di farlo. Questo l’inizio di Mother, Couch (2023), sorprendente opera prima di Niclas Larsson, sospesa in una ironica dimensione onirica e surreale che diventa sempre più accentuata con il progredire del film e il serrarsi dei dialoghi tra David e la madre.

“Holiday” e la verità come domanda

Girato lungo le strade impervie e i sottopassi delle ferrovie di una Liguria volutamente aspra e in una Genova poco riconoscibile, Holiday si concentra, come BB e il cormorano (2003) e Padroni di casa (2012), i due precedenti film di Gabriellini, sull’idea di limbo esistenziale, inseguendo i protagonisti nella loro ricerca di sospensione dalla vita e dalle sue responsabilità. In questo l’idea di vacanza come sospensione metaforica è centrale per il film.

“Il ritorno di Maciste” nostro contemporaneo

Con l’espediente cinefilo di far uscire Bartolomeo Pagano dallo schermo al termine della proiezione di Cabiria (1914) di Pastrone al cinema Lux di Torino, Il ritorno di Maciste (2023) immerge un’icona del muto nel nostro mondo globalizzato, giocando con quella mescolanza tra arcaicità e modernità alla base dello stesso personaggio di Maciste che proiettò Pagano, umile camallo del porto di Genova, sulla scena cinematografica internazionale, facendone uno degli attori italiani più pagati degli anni Venti.

“Pasolini – Cronologia di un delitto politico” e la colpa senza fine

Pasolini. Cronologia di un delitto politico è un modo per celebrare il processo invocato dallo scrittore e regista, sia attraverso il famoso articolo “Che cos’è questo golpe? Io so” pubblicato sul Corriere della Sera nel 1974, sia attraverso il romanzo Petrolio. Le testimonianze e i materiali raccolti da Angelini parlano di una classe politica indifferente, quando non collusa con la Destra fascista, verso la persecuzione giudiziaria, mediatica e anche fisica a cui Pasolini fu sottoposto fin dal 1949.

“Come pecore in mezzo ai lupi” e il paesaggio urbano instabile

Coinvolgente opera prima di Lyda Patitucci che, per i numerosi pregi, meriterebbe una distribuzione anche nella stagione autunnale, Come pecore in mezzo ai lupi stravolge gli equilibri del genere e di genere, presentando una donna poliziotto definita dal suo lavoro più che non dalle sue relazioni, e un criminale maschile fragile e introspettivo. Isabella Ragonese e Andrea Arcangeli utilizzano al meglio la sceneggiatura di Filippo Gravino per un ritratto a specchio e complementare dei due fratelli.

Anna Magnani personificazione del teatro

L’importanza delle scene teatrali nella vita di Anna Magnani è ben nota. Tutta la sua carriera è caratterizzata dalla presenza del palcoscenico: dagli studi nella Reale Scuola di Recitazione Eleonora Duse ai successi nella rivista a fianco di partner maschili quali Antonio Gandusio e Totò e autori come Michele Galdieri, dal debutto nelle parti drammatiche alla fine degli anni 30 con La foresta pietrificata e Anna Christie fino al ritorno sulle scene con Zeffirelli nel 1965 con la trionfale tournée italiana ed europea de La lupa.

“Quién sabe?” e la fine della rivoluzione

A quasi sessant’anni dalla prima uscita in sala, Quién sabe? torna nella bellezza di un restauro in 4K che restituisce tutta la spettacolarità originaria al confronto tra il cacciatore di taglie gringo, Bill Tate (Lou Castel), e El Chuncho (Gian Maria Volonté), il sovversivo riluttante che prende progressivamente coscienza dell’importanza della causa rivoluzionaria messicana rispetto al valore del denaro. Nel nostro mondo neoliberista, il grido di El Chuncho risuona sempre più strozzato e ha un percorso ideologicamente inaspettato nel cinema dello stesso Damiani, che lo trova assimilabile alla scelta del Brigadiere Graziano di Io ho paura (1977), interpretato sempre da Volonté

“Narciso nero” e le fantasie dell’Impero

Narciso nero (1947) appartiene alla fase di maggior successo del sodalizio artistico tra Michael Powell e Emeric Pressburger e della Archers, la loro casa di produzione. Tratto dal romanzo omonimo di Margaret Rumer Godden, questo teso melodramma sensuale ambientato in un convento di suore in uno sperduto angolo di India ai confini dell’impero britannico, attirò l’attenzione del pubblico e della critica in patria e all’estero.

“Risate di gioia” favola “trucibalda”

La definizione di “favola di Capodanno” per descrivere Risate di gioia e l’enfasi posta sul ritorno del duo Magnani-Totò, con le perplessità dell’attrice a riformare una coppia da Rivista pochi anni dopo la vincita del Premio Oscar e la sua ossessione per non apparire così “trucibalda” come gli sceneggiatori l’avrebbero voluta, hanno oscurato l’indagine del film sul consumismo degli anni del boom economico. Quella “passione delle cose inutili” che domina le sfere del pubblico e del privato rappresentate nel film.

“La rosa tatuata” e il repertorio di Anna Magnani

Al contrario di quello che avviene in altri drammi dell’autore come Un tram che si chiama Desiderio La dolce ala della giovinezza, il passato non costituisce per la donna un rifugio da cui farsi opprimere né il punto di congiunzione tra una tragedia personale e il declino del Vecchio Sud. A Williams non importa in questo caso portare fiori per il Sud morto ma fornire a Magnani le occasioni per mettere in gioco il suo ampio repertorio di registri attoriali. 

Michael Powell e la commedia di costume

Succede sempre qualcosa (1934) e La sua ultima relazione (1936) sono due esempi di come Powell cerchi di forzare i limiti dettati dal sistema produttivo delle quote per impostare un discorso più personale sia dal punto di vista dell’analisi della società inglese degli anni Trenta che della forma cinematografica. I due film sono ascrivibili alla categoria delle “commedie di costume”, genere molto ampio che abbraccia ironia e satira, scandalo e mistero, indagine sociale e intreccio romantico.

Anna Magnani e i sogni di una nazione

Molti sogni per le strade (1948) di Mario Camerini e Nella città l’inferno (1958) di Renato Castellani non potrebbero sembrare, a prima vista, due film più diversi: commedia a lieto fine il primo, dramma carcerario il secondo. Eppure i due film sono accomunati dalla caratterizzazione dei due personaggi interpretati da Anna Magnani: attraverso di lei, queste due opere testimoniano la voglia di mobilità sociale della popolazione italiana nell’arco di dieci anni fondamentali che porteranno la nazione dalle rovine del secondo dopoguerra al boom economico. 

“La luce fantasma” e i generi in gioco

Come in altri film precedenti il sodalizio con Pressburger, La luce fantasma mostra già la creatività visiva di Powell e la costante fascinazione del regista per il paesaggio e per gli elementi naturali colti nella loro interazione con i personaggi. Un altro motivo di interesse risiede nel piacere ludico con cui Powell abusa consapevolmente delle convenzioni di genere per catturare progressivamente lo spettatore nella narrazione.

“L’onorevole Angelina” politico o populista?

Il film lo ricordiamo per Angelina che “baccaja proprio bene” e per l’irruenta recitazione di Anna Magnani, materialmente e simbolicamente trattenuta dagli altri personaggi durante tutto il film. Allora anche il suo ultimo discorso può essere letto attraverso il filtro dell’ironia amara e del rovesciamento che pervade tutta la narrazione (e che spesso opera nei finali di Zampa, anche quando la soluzione è ufficialmente suggellata dalla legge, come in Processo alla città e Il magistrato).

“The Edge of the World” ai confini del cinema

Il piacere che il film trae dall’idea di raccontare una storia di migrazione e di dissoluzione dei legami famigliari attraverso il modello classico del nostos è già annunciato dal titolo, tratto dalle Georgiche di Virgilio, e il prologo in cui due turisti, uno dei quali significativamente interpretato dallo stesso Powell, arrivano sull’isola con Andrew Gray, protagonista e narratore della storia a cui stiamo per assistere in un flashback sollecitato dalle richieste della coppia.

“His Lordship” e l’inganno secondo Michael Powell

Il regista cileno Raul Ruiz ha scritto che il cinema di Powell e Pressburger è caratterizzato da un continuo “débordement” (straripamento) e da una “photogénie, truth for lie et lie for truth” che rende i loro film ingannevoli e fuorvianti. Guardando His Lordship, diretto dal solo Powell nel 1932, sette anni prima dell’inizio del sodalizio professionale con Pressburger, si possono già cogliere le due caratteristiche invocate da Ruiz, pur nella differenza del contesto produttivo ed artistico.

Michael Powell nell’industria cinematografica britannica degli anni Trenta

Che Hotel Splendide sia il sesto film diretto da Powell ad appena un anno dal suo debutto come regista testimonia la velocità delle produzioni inglesi di quegli anni. Tuttavia, sarebbe ingiusto trattare come un mero documento di una modalità produttiva intensiva la divertente storia di un frustrato impiegato che, ereditato il “magniloquente solo nel nome” Hotel Splendide, non solo deve rilanciarlo economicamente ma anche affrontare i delinquenti che vi risiedono e che vi hanno nascosto una preziosa collana di perle.

“Teresa Venerdì” innocuo solo all’apparenza

Che cosa ci dice dell’Italia di quegli anni un’apparentemente innocua ed edificante commedia degli equivoci in cui un pediatra di famiglia benestante ma perennemente inseguito dai creditori si innamora di una giovane orfana, la Teresa Venerdì del titolo, preferendola sia a Loletta che alla fidanzata pseudo-poetessa di buona famiglia? Tutto è basato sul meccanismo del rovesciamento. 

“Denti da squalo” in difficile equilibrio tra simboli e realismo

Denti da squalo è tutto giocato su una stratificazione di significati simbolici, oltre che dal referente concreto. Così lo squalo viene a rappresentare la paura del vivere, la violenza che dobbiamo impersonare per farci rispettare, ma anche il suo contrario, l’anelito verso la libertà e il rifiuto di costrizioni e modelli sociali. Allo stesso tempo, lo squalo è anche un personaggio della narrazione a cui imprime una svolta finale certamente di presa emotiva, pur se non molto credibile.