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“Viaggio a Tokyo” 70 anni dopo

È un Paese, quello di Ozu, negli anni dell’occupazione americana. Un Paese che cambia e nel cambiare abbandona anche i suoi valori più autentici come il senso dell’accudimento, il ritmo lento della vita, il rispetto dei rituali. Il regista ne ha nostalgia, ne soffre; eppure, il suo cinema “gentile” – come lo definisce Kaurismäki – ha una narrazione che non contiene conflitti, non ci sono buoni e cattivi da una parte e dall’altra. Si fa fatica a non giudicare i personaggi di Ozu.

“Film Rosso” come il filo del caso e della necessità

Rouge. Fraternité. “La gente non è cattiva. Forse, qualche volta non ha la forza”. Lo sguardo limpido di Valentine, una modella sensibile e piena di vita, inciampa fortuitamente nella solitudine orgogliosa e superba di un vecchio giudice in pensione, Joseph, che trincerato nella sua abitazione, riempie i suoi vuoti intercettando le telefonate dei vicini. Rouge, rosso, come carica positiva ed energica, portatore di calore in un mondo in cui non è difficile essere rapiti dall’indifferenza e dall’apatia sociale.

Ingrid e Anna. Storie di cinema e di arcipelago

Nell’arcipelago delle Eolie, in quella primavera-estate del 1949 non ci sono soltanto Roberto Rossellini e Ingrid Bergman per girare Stromboli. L’energia dei vulcani rapisce come in un incantesimo di lava – e di gelosia – anche Anna Magnani. Con la diva giunta alle Eolie il 7 giugno, Vulcano diretto da Dieterle e prodotto dalla stessa Magnani sarà il film rivale, che la vedrà protagonista per sfogare la sua rabbia di donna tradita.

“Toro scatenato” fuori dal sogno americano

“Datemi un’arena, Jack il Toro si scatena”. Non sempre. Non solo cazzotti, ma anche gangsterismo, religione e musica. Le note di Pietro Mascagni assolvono “Bob-Jake” dalle sue colpe mentre viene massacrato sul ring. L’arena sembra quasi trasformarsi in un confessionale dove fare i conti con paure e pulsioni e dove pentirsi: Jake Vs LaMotta. I pugni devono fare male, i duelli non debbono mostrare la tecnica. La mancanza di strategia elegge il combattimento di boxe a categoria dello spirito.

“Le pupille” e lo sguardo dell’innocenza

“Dedico la nomination all’Oscar alle bambine cattive, che cattive non sono affatto e che sono in lotta ovunque nel mondo”, dichiara la regista toscana. È lo sguardo dell’innocenza a colpire ancora una volta, come quello di Lazzaro in Lazzaro felice mentre la fusione della sfera reale e quella della fiaba è il luogo deputato allo spettatore: un luogo dove si arriva silenziosamente, come quelle onde lunghe che si spalmano sulla battigia senza far rumore e levano tutto, tranne la tenerezza.

“Cristo si è fermato a Eboli” e non solo

Si arriva alle verità del Mezzogiorno entrando dalle case dei contadini con un Gian Maria Volonté, ancora una volta idolo camaleontico indiscusso di Rosi, nelle vesti dello scrittore, pittore e medico torinese condannato al confino negli anni 1935-36 per la sua militanza antifascista in Giustizia e Libertà. Le desolate lande di Lucania (Aliano in provincia di Matera), gli incantevoli colori di quelle terre malariche fanno la loro prima apparizione nei salotti degli italiani nel 1980 a poche settimane dal sisma che devastò la zona irpino-lucana della Penisola, in 4 episodi televisivi trasmessi dalla Rai fino al 7 Gennaio 1981.

Il mio Godard. Storia di un incontro speciale

Sapevo che a Rolle, piccolo comune che affaccia sul lago Lemano, viveva lui: Rue des Petites-Buttes. La mattinata comincia pigra e mantiene questo mood fino al primo pomeriggio, fino a quell’ultimo respiro che mi fa prendere quel treno alla ricerca di Godard. Mi sentivo un po’ Agnès Varda in Visages Villages. Cammino senza aspettative per qualche minuto, il tempo di raggiungere l’indirizzo, riconosco la casa con la veranda bianca. Si salvi chi può (la vita): in un secondo dalla porta della veranda si palesa un uomo sui novanta con un sigaro tra le mani e quella montatura di occhiali inconfondibile…

“Buongiorno, notte” all’interno prima dell’esterno

Niente film d’inchiesta alla Ferrari e Martinelli, il pubblico sa già. Piuttosto, via “i pugni in tasca” e tutti in scena a costruire e montare emotivamente questo racconto, re-immaginando la prigionia dei 55 giorni dello statista italiano. Il personaggio di Chiara, infatti, non è mai lasciato solo dallo spettatore, mentre nel buio dell’appartamento, si aggira il fantasma dell’onorevole Moro tra le contraddizioni profonde e irrisolte di una morte annunciata. Alla base del film, il libro Il prigioniero della brigatista Anna Laura Braghetti, colei che fu la vera carceriera del politico e a cui il regista regala tutta la sua attenzione.

“La tana” tra enigma emotivo e sensualità dei corpi

“Si muore un po’ per poter vivere”, intonava Caterina Caselli in un suo intramontabile brano del 1970. Ma non è la colonna sonora di questo film, che usa invece, musica diegetica per scene destinate a diventare “cult” con chiari riferimenti al cinema di Xavier Dolan. È il sentimento predominante nel linguaggio di Lia (Irene Vetere) che si esprime per mezzo di strani “giochi” da imporre a Giulio (Lorenzo Aloi) e mentre una seppellisce paure e sofferenze nel suo ventre, l’altro prova ad esplorare la “tana” del dolore con una timida torcia alimentata da speranza e amore.

“Romanzo popolare” tra Monicelli e Tognazzi

Giocando a Guardie e Ladri con il Neorealismo, Mario Monicelli congeda l’Italia dalle memorie della guerra. Tra sorpassi, divorzi e armate, si ritrova con i “soliti noti” (Age, Scarpelli, Risi, Steno) a rappresentare la realtà del paese attraverso un genere che dava l’idea di popolo, grazie alla naturalezza stessa dei personaggi che possono fallire, che non appartengono all’universo della maschera, ma a quello della verità. Ed è un esempio naturale accostare il nome di Ugo Tognazzi nella stagione dei Gassmann e dei Mastroianni, delle Vitti e delle Melato, marchio di fabbrica tra gli “operai qualificati” di questo romanzo destinato a diventare popolare.

“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e su una nazione irrisolta

“Noi siamo a guardia della legge che vogliamo immutabile”, urla il “dottor” Volonté,  ai suoi uomini, eletto alla direzione dell’ufficio politico (oggi la nota Digos). Il pericolo dell’autoritarismo, si sprigiona in questa pellicola, un pericolo, che Petri in un’intervista paragona ad “un veleno che serpeggia nelle nostre psicologie”. L’omicida è parte attiva dell’indagine, l’omicida è servo della legge, ma mentre si esercita a maneggiare il potere, vuole anche tastarne il limite fornendo indizi e tracce quasi alla ricerca di una pervasione nel proprio rimorso e senso di colpa.

“L’avventura” del paesaggio. Monica Vitti e lo sguardo che si sente morire

“Pochi giorni fa all’idea che Anna fosse morta, mi sentivo morire anch’io. Adesso non piango nemmeno. Ho paura che sia viva. Tutto sta diventando maledettamente facile, persino privarsi di un dolore”, dice Claudia, la donna portata sullo schermo da Monica Vitti che in questa pellicola conquista l’impero dell’incomunicabilità di Antonioni, diventando regina dell’alienazione. Monica/Claudia sa essere paesaggio; il suo sguardo restituisce allo spettatore l’amarezza secondo la quale dietro ogni grandezza (il mare immenso delle Eolie, il barocco di Noto, l’Etna vista da Taormina) si nasconde un profondo vuoto.

“Comizi d’amore” e Pasolini poeta viaggiatore

Con Comizi d’amore l’Italia incappa “nell’intelaiatura PPP”: politica, pellicola, poesia. Spinto a tentare le forme espressive con una voracità capace di regnare anche sul favoloso mondo della celluloide, il poeta “corsaro” si ispira al documentario dell’antropologo Jean Rouch e del sociologo Edgar Morin, Chronique d’un été. Un’indagine, la loro, sulla concezione della felicità nei quotidiani parigini, un modo quello di Pasolini per spiare, invece, il cupo conformismo della borghesia italiana che si manifesta con riposte vuote: l’ignoranza per paura. Di questo, egli sa. Ha prove e indizi.