Archivio
“Campo di battaglia” nel corpo dei feriti
Campo di battaglia si ispira al romanzo La sfida (2020) di C. Patriarca, ma deve, forse, il titolo a un lavoro precedente dello stesso scrittore: Il campo di battaglia è il cuore degli uomini (2013). Ed è al cuore degli uomini che Amelio colpisce con la sua opera, filmando con delicatezza e sobrietà la brutalità della guerra e la ricerca, disperata, di umanità: una riflessione sempre attuale e potente, resa con uno stile classico ma efficace.
“C’è ancora domani” e molto lavoro da fare
C’è ancora domani interroga chi guarda, facendo comunicare mondi – apparentemente – lontani. Così i primi minuti in 4:3 presentano come uno schiaffo la vita di Delia e dialogano con i titoli di testa al rallentatore per le strade in fermento pre-repubblicano. Anche la colonna sonora contemporanea duetta con la ricostruzione precisa di un quartiere romano del Dopoguerra e con i molti riferimenti cinefili.
“99 Lune” tra piacere e paura
99 Lune ricorda alcuni film recenti (La persona peggiore del mondo, Ninja Baby). Anche Gassmann non cerca la diagnosi ma il racconto: il passato di Bigna e Frank è assente. Rispetto ai film di Trier e Flikke scompaiono anche le esplosioni di subconscio. Quello che resta sono i movimenti dei corpi nudi di Bigna e Frank, che si avvicinano, si allontanano, tremano di piacere e paura.
“Manodrome” a Berlino 2023
C’era una volta Taxi Driver. Tornato a Berlino dopo il suo esordio con Wound (2017), John Trengove dialoga con Scorsese cercando di mettere in scena la crisi del superomismo maschilista attraverso la vicenda dell’Uber driver Ralphie e della setta del Manodrome. L’idea nasce dal viaggio del regista sudafricano nella Manosphere, ovvero l’insieme di siti e comunità online che professano ideologie maschiliste e misogine. Partito dal libro Kill all Normies di Angela Nagle, Trengove ha esplorato questo universo inquietante.
“She Came to Me” a Berlino 2023
La Berlinale 2023 si è aperta con l’ultimo film di Rebecca Miller, una commedia romantica sospesa fra la screwball comedy e Romeo e Giulietta, che funziona nei suoi meccanismi ma si perde cercando di abbracciare i problemi sociali e generazionali dell’America contemporanea. Temi importanti, forse non solo per il pubblico statunitense, che alla fine sembrano più che altro espedienti narrativi, immersi in uno sguardo scalato dall’alto.
“Un anno, una notte” e la poetica del superstite
La notte del 13 novembre 2015 Ramón González si trovava al Bataclan con la fidanzata e alcuni amici per assistere al concerto degli Eagles of Death Metal. Ramón ha raccontato la sua esperienza di sopravvissuto nel libro Paz, amor y death metal che ha ispirato Isaki Lacuesta per il suo ultimo film: Un anno, una notte. Già dal titolo si capisce che il cuore del film non sono tanto la notte e l’attentato, ricostruiti da regista e sceneggiatori attraverso diverse testimonianze, ma soprattutto i mesi successivi vissuti dai protagonisti, Ramón e Céline, una coppia di superstiti.
“Teorema de tiempo” e di archivio
La XV edizione di Archivio Aperto è stata un’occasione per scavare negli archivi. Teorema de Tiempo, documentario del regista messicano Andrés Kaiser, non si limita a questo ma scava nel concetto stesso di archivio. Quella di Kaiser è una teoria in senso etimologico: una visione del tempo (theōrein, in greco, significa “vedere, osservare”). Quale tempo? Quello racchiuso nell’archivio di lettere, fotografie e soprattutto filmati dei nonni materni del regista: Arnoldo e Anita. Kaiser allestisce così con rigore e sensibilità una visione profonda, a tratti psicanalitica, sul potere dell’immagine e dell’archivio, come mezzo di sopravvivenza.
“Marcia su Roma” tra Storia e illusione
Tecnico, per una metà, un po’ semplicistico, per l’altra. L’ultimo documentario di Mark Cousins (The Story of film: an Odyssey) cerca un equilibrio difficile fra cinefilia, politica e storia, perdendosi a rincorrere ricorsi storici. Dispiace per un’occasione forse non persa, ma colta a metà. Presentato alle Giornate degli Autori a Venezia, il film passa velocemente dalle tautologie trumpiane (“Mussolini is Mussolini”, “I want to be associated with interesting quotes”) alla Napoli del 1922 di È piccerella. Poi da Elvira Notari a Umberto Paradisi: sempre sul golfo di Napoli si apre A Noi racconto-celebrazione della marcia su Roma.
La luce dalle viscere. “Crimes of the Future” e lo sguardo sul corpo
In Crimes of the Future Cronenberg immerge lo sguardo nel corpo verso una spasmodica ricerca di senso: gli organi diventano tele da incidere, i cadaveri poemi da leggere (e cercare di comprendere), le viscere bellezza interiore e il corpo viaggia più veloce della mente, che forse alla fine è soltanto una sua estensione difettosa. Body is reality. Girato in un’Atene irriconoscibile il film si muove fra relitti e rovine in ambientazioni quasi teatrali.
“Full Time” e il lavoro al ritmo di thriller
In Full time la Parigi da cartolina non trova e non deve trovare posto: la tour Eiffel è solo un brutto quadro in una camera d’albergo. Le corse parigine, impresse nella memoria cinefila e collettiva come simboli di leggerezza e liberazione, sono sostituite da un movimento violento e circolare, che trascina la protagonista Julie (Laure Calamy) da un impegno all’altro nelle sue giornate frenetiche. L’equilibrio precario di questa vita esplode con lo sciopero dei trasporti, ispirato al grande sciopero del ‘95 e a quello, più recente, iniziato alla fine del 2019 e frenato solo dall’epidemia.
“Macbeth” di Roman Polanski in un labirinto di specchi
Nel Macbeth di Polanski il cinema non è un modo per guardare le proprie ossessioni ma solo per perdersi dentro di esse, come in un labirinto di specchi. Il farmaco che l’uomo deve darsi da solo forse esiste, ma Polanski non ci crede o non lo conosce. La storia si afferma sull’arte ma solo piegata al desiderio: nel finale Donalbain, che fu storicamente re dopo Malcom, torna dalle streghe. Questo è l’unico vero tradimento a Shakespeare, il cui testo, anche se reso con naturalezza non teatrale, è seguito fedelmente. Il sigillo del regista sulla sua opera: la storia domina sulla finzione artistica e il finale positivo di Shakespeare è superato dal ciclico affermarsi del desiderio.
“La crociata” e la favola che sta per esplodere
Il miraggio di un mare in cui dorme la tempesta, così si potrebbe descrivere La crociata, una favola in cui tutto è sul punto di esplodere. Ma Garrel e Carrière disinnescano l’ordigno: basta indicarlo con ironia anche se a tratti indulgente. Davanti alla cecità dei genitori la minaccia di uno sterminio degli adulti (genitori), lanciata dai ragazzi (figli), rimane volutamente sospesa, non approfondita. Ottimo per il film che s’illumina di questa violenza accarezzata e risulta vivace, godibile, divertente con la macchina da presa che ora si muove frenetica da un volto all’altro e trema dietro Abel in una Parigi senz’aria ora si ferma ad abbracciare la tensione.