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“Rapito” speciale II – Il velo del dogma
L’intera filmografia di Bellocchio è una processione di veli che frappongono l’uomo a una libertà originaria. Ma in ogni suo film riesce a scoprire in maniera nuova le sue figure tipiche, a rimodellare le forme del genere melodrammatico, a rendere sempre più ambiguo il dualismo tra vita e apparenza. Dall’intensificazione spudorata di elementi realistici del melodramma erompono gli incubi reconditi, le pulsioni inconsce, i desideri di autonomia dei soggetti.
“Pacifiction” speciale II – Il piacere dell’infondato
A differenza di La morte di Luigi XIV (2016) qui Serra lavora molto di più con l’identificazione spettatoriale con la star, legando il corpo attoriale a un labirinto narrativo in cui districarsi, trovare uno scopo. Anche il piacere spettatoriale si rivela infondato o, meglio, si rivela proprio come piacere dell’infondato, gioco con le proprie paure, ricerca di rassicurazioni dalle proprie paranoie in immagini che però non chiedono niente allo spettatore. La paranoia infatti si dà solo come atmosfera e non come evento narrativo. Quel che ne risulta è piuttosto un thriller metafisico à la Antonioni in cui è proprio l’incertezza ontologica ciò che genera piacere.
“Lo spirito dell’alveare” e l’infanzia della cinefilia
Attraverso un trauma storico (la guerra civile spagnola) Erice mette in scena un trauma percettivo prodotto dalla nascita del cinematografo. A partire dal fascismo franchista viene messo sotto accusa l’eterno fascismo dell’esperienza adulta. Quel mondo adulto che preferisce spiegare piuttosto che vivere le proprie esperienze, che non prova più meraviglia per l’avvento di un treno. Lo sguardo cinefilo allora rimane l’ultimo baluardo in età adulta di una disposizione infantile all’esperienza.
“Gli ultimi giorni dell’umanità” e la poesia della teoria
Il montaggio di Alessandro Gagliardo gioca con la durata e trasforma la “poesia della teoria” di Ghezzi in pratica filmica creando relazioni sorprendenti e generando il senso a partire da un vuoto prodotto dallo scontro di materiali difformi, come nel cinema di Chris Marker o nella produzione video di Jean-Luc Godard. Rispetto a una scomparsa della realtà, l’etica ghezziana cerca ancora di “cogliere la realtà nei brandelli” attendendo fiducioso un nuovo incrocio di sguardi, una nuova relazione con le immagine, una nuova umanità. Di fronte al terrore della fine, ci chiede un ultimo sforzo per trattenere un brandello di realtà, di umanità, di desiderio.
“Le mura di Bergamo” oltre la generazione scomparsa
“Wittgenstein” e l’immaginazione queer di Derek Jarman
Sviluppato a partire da un soggetto del filosofo e critico letterario inglese Terry Eagleton, il film è prodotto in un periodo in cui Jarman deve affrontare le drammatiche conseguenze dell’AIDS. Se il successivo Blue e il libro Chroma utilizzano il Wittgenstein delle Osservazioni sui colori per pensare la questione della percezione in seguito alla sopraggiunta cecità, il film su Wittgenstein riprende la raccolta Della certezza incentrato sul problema della conoscenza.
“Gigi la legge” I. Da posizione eccentrica
Dopo Apichatpong (L’estate di Giacomo) e Bresson (I tempi felici verranno presto), Comodin sembra qui guardare a un altro “antropologo”, il Bruno Dumont di L’umanità e P’Tit Quinquin. Eppure lo sguardo “spostato” del suo poliziotto di provincia esprime una vitalità inedita, la sua ironia è più solare che provocatoria e non si giunge mai alla soluzione tragica. Piuttosto il suo Gigi si fa simbolo di un mondo totalmente “spostato”, che però lo spettatore non è abituato a riconoscere nella sua innocente singolarità.
“Godland” tra produzione e distruzione
Pálmason fonda la narrazione su un motivo finzionale: sette fotografie ritrovate dell’Islanda di metà Ottocento. La missione di Lucas è anche quella di immortalare il paesaggio naturale e umano dell’isola, al tempo sotto protettorato danese. Ma l’attrezzatura si rivela un peso, il paesaggio troppo inospitale non solo da attraversare ma anche da essere immobilizzato dalla fotografia. Le lunghe esposizioni necessarie ai tempi per catturare le immagini impongono ai soggetti ritratti di rimanere fermi.
“EO” speciale I – Il mistero dell’animalità
La soggettiva, piuttosto che rimandare in maniera univoca a un oggettivo sognare dell’asino, fa trasparire il desiderio spettatoriale di connessione con i sogni dell’asinello, il comune destino degli esseri viventi. Il montaggio rende quindi possibile trattenere un velo di mistero sul mondo dell’asino e allo stesso tempo rende impossibile una totale padronanza dell’umano di tale mondo. Attraverso il mistero dello sguardo di Eo siamo ricondotti al mistero dell’alterità, di ogni sguardo altro che chiede riconoscimento e dignità. E alla profonda ingiustizia che subisce ogni animale, umano o asino che sia, trattato come puro significante senza diritto di voce o di verso.
“Tori e Lokita” di rigore bressoniano
Dopo quaranta anni di carriera e due Palme d’oro, i Dardenne continuano a proporre il proprio “cinema senza stile” consapevoli della necessità di far esistere questi corpi marginalizzati e disconosciuti. Si possono notare negli anni differenze come il sempre maggior impegno nella scrittura che ha messo in secondo piano il lavoro d’improvvisazione e sperimentazione sul set. L’inquadratura in semisoggettiva non è più nervosa come un tempo, eppure rimane costante il rigore dello sguardo.
“Infinito: l’Universo di Luigi Ghirri” e l’enigma del paesaggio
Infinito fu un progetto fotografico di Luigi Ghirri del 1974. Il lavoro consisteva in 365 fotografie di cieli diurni, una per ogni giorno dell’anno. Cosa spingeva un artista a fissare il cielo tutti i giorni per un anno? Non certo follia, piuttosto alcuni pensieri, sull’arte, la fotografia, la vita, la società contemporanea. Parte da questi pensieri, Matteo Parisini per riscoprire la figura del fotografo emiliano. Prodotto in collaborazione con Sky Arte HD e Rai Cultura, Infinito: l’Universo di Luigi Ghirri fa rivivere, attraverso la voce di Stefano Accorsi, la parola dell’autore cercando di evidenziare il legame tra opera e pensiero.
“Bentu” e il tempo della natura
Quarto adattamento dalla letteratura sarda per Mereu (dopo Sonetàula, Bellas mariposas e Assandira), come in altri film del cinema sardo contemporaneo (vedi proprio Assandira) al centro della narrazione vi è anche lo scontro generazionale, riformulazione del rapporto con il Padre padrone. Angelino, il giovanissimo aiutante di Raffaele, ha i suoi desideri di crescita ed emancipazione. Un nuovo scontro di temporalità si presenta: la frenesia della giovinezza e la pazienza della vecchiaia.