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“Dancer in the Dark” anti-musical della cecità
Lars von Trier ha definito Dancer in the Dark un anti-musical, e lo è a tutti gli effetti, procedendo vero una decostruzione estetico-narrativa del musical classico hollywoodiano. I colori e l’energia ottimistica di uno dei generi sovrani della Hollywood classica, vengono sostituiti da tonalità grigio-scure e da un’implosione performativa, sia nelle canzoni originali di Björk (di matrice noise) che nel ripercorrere le hit più note del cult per famiglie Tutti insieme appassionatamente.
“Sex” e la trasparenza di un nuovo sguardo
Il cinema di Dag Johan Haugerud non formula giudizi etici, ma semplicemente pone questioni incomprensibili e talvolta inaccettabili per la morale comune, con una flagranza e una trasparenza da risultare commuoventi. Mai una sbavatura nella densità dei suoi dialoghi, mai una provocazione gratuita nella diversità emotiva e pulsionale dei suoi personaggi, spesso cinquantenni comuni e (dis)persi nella complessità di domande senza risposta all’interno dell’urbanistica di Oslo, lampante metafora delle relazioni umane.
“Love” e la forza di sentimenti e identità
Love è un grande racconto intimo sui desideri e le paure personali, ma al contempo anche un affresco sociale sul rapporto tra provincia e capitale, una profonda e acuta riflessione sull’identità personale e sull’identità collettiva di appartenenza a una comunità, nell’essere tutt’uno con essa pur mantenendo sempre la propria individualità. Sotto il velo di un asettico scorrere quotidiano (in alternanza tra illuminazioni notturne e diurne) si agita un fermento di vitalità
“Fantozzi” speciale I – La tragedia di una società ridicola
Una delle peculiarità di Fantozzi è l’utilizzo dell’iperbole sia visiva che narrativa, esasperando così la figura del travet e facendone al contempo un personaggio tristemente umano e comicamente fumettistico, mescolandovi al suo interno figure come quelle dello schlemiel ebraico e dell’augusto circense. Il mezzemaniche sfruttato e sfortunato diviene così protagonista di una serie di bozzetti in cui resta spesso fisicamente vittima di disgrazie, uscendone praticamente illeso come le figure animate di Tex Avery.
Gene Hackman magnifica canaglia
Un volto dai lineamenti non propriamente regolari, spesso attraversato da un ironico sorriso sornione e illuminato da due piccoli occhi cerulei, Gene Hackman è stato uno dei massimi interpreti della New Hollywood, un’autentica leggenda che ha saputo imprimere un nuovo tipo di iconicità divistica. In mezzo della schiera new-hollywoodiana di giovani, belli e impossibili (da Robert Redford a Warren Beatty), si staglia come un cazzotto rivoluzionario il roccioso e maturo Gene Hackman, assurto allo status di divo e protagonista assoluto già quarantenne.
Tutto Kurosawa – Un apologo umanista tra realismo e simbolismo
Vivere, grazie ad un linguaggio asciutto e minimalista e a un’impronta registica trasparente, si fa al tempo stesso apologo e riflessione sulla sconfitta e la rassegnazione umana e sguardo di speranza verso una società migliore. Temi fondamentali per il Giappone del secondo dopoguerra che guardava a una possibile rinascita, ma il vero malessere esistenziale rappresentato nel film si polarizza attorno al sistema burocratico e impiegatizio, un sistema gerarchizzato e stagnante che mina la salute psicofisica degli individui.
“La moglie dell’aviatore” dentro le traiettorie del cuore e del destino
Con La moglie dell’aviatore, Rohmer inaugura un esperimento antropologico (dopo la sociologia dei Sei racconti morali) costituito da una leggerezza formale e da una profondità di contenuti, in cui artificio e naturalezza si strizzano vicendevolmente l’occhio, basterebbe citare a tale proposito una delle ultime battute pronunciate da Anne: “La vita a me piace soprattutto quando assomiglia a un romanzo”.
“MaXXXine” come diritto al godimento
Si sente affermare troppo spesso che West è un citazionista pop che scherza con il cinema del passato, ma se questa definizione potrebbe in parte andare bene per il suo collega Eli Roth non si addice decisamente a lui, inquanto dietro allo spudorato velo del facile giochino cinefilo si nascondono riflessioni molto più pregnanti, come ad esempio il concetto di ridisegnare e risignificare il corpo femminile all’interno del cinema contemporaneo, filtrandolo attraverso l’estetica vintage.
“Pane, amore e fantasia” e l’aria di paese
Il film di Luigi Comencini, insieme a Poveri ma belli di Dino Risi, resta l’autentico manifesto della commedia neorealista, filone che ha aperto la strada alla commedia all’italiana, una forma-cinema decisamente storicizzata e cristallizzata nel tempo che riesce a restituire la dimensione sociale e antropologica dell’Italia del secondo dopoguerra, tra scampoli di miseria e sorrisi di speranza.
“Marcello mio” tutto sua figlia
C’è forse un equivoco alla base delle reazioni perplesse di molti addetti ai lavori e di parte del pubblico, perché Marcello mio non è un biopic su Mastroianni e nemmeno un semplice omaggio allo stesso, ma un’operazione molto più complessa e stratificata che gioca sul continuo ribaltamento tra messa in scena finzionale e vita privata, un corpo a corpo fiction/nonfiction che cerca di rielaborare il fantasma di Marcello e il suo mito attraverso la figura e i ricordi privati della figlia Chiara.