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“Inland Empire” nel vortice della follia

Inland Empire è il primo film di Lynch girato completamente in digitale. Come spiegato da Mary Sweeney, qui produttrice oltre che sceneggiatrice,  l’opera è stata realizzata con telecamere digitali a bassa risoluzione per sottolinearne la vena artigianale. La colonna sonora è stata realizzata in buona parte dallo stesso Lynch, sviluppando sonorità artificiose in cui la voce umana, fortemente alterata, viene utilizzata a sua volta come strumento. Il restauro in 4K, realizzato da Criterion Collection sotto la guida dello stesso Lynch, e il remaster sonoro restituiscono in maniera ancora più evidente la natura “amatoriale” del prodotto audiovisivo.

“The Dreamers” e la cinefilia morbosa

A metà fra Prima della rivoluzione e Ultimo tango a Parigi, The Dreamers è un racconto sul suicidio dell’utopia, su passioni ingenue vissute ingenuamente, in cui i personaggi cercano disperatamente di esprimersi attraverso i corpi, morboso come solo le migliori opere di Bertolucci. Perfino la cinefilia dei personaggi è malsana e diventa uno strumento di ricatto, un pretesto per giocare a fare i sadici umiliando sessualmente chi non coglie la colta citazione cinematografica di turno.

“Un sogno più lungo della notte” e la straziante richiesta di libertà

Il secondo e ultimo lungometraggio di Niki de Saint Phalle è un trionfo di fantasia e colori, un’esplosione di creatività che ridicolizza in esperimenti grotteschi ed esagerati la società capitalista espressione del potere patriarcale. Un’opera che riflette, attraverso la sua esuberanza, l’iperattività dell’artista francese, alla continua ricerca di nuovi modi di esprimersi. Infatti, dalla pittura alla scultura, passando per l’architettura, Niki de Saint Phalle ha raccontato se stessa e la donna.

“Amanti senza domani” per sempre

Con Amanti senza domani (titolo italiano poco felice rispetto all’originale e più neutro One Way Passage) Tay Garnett, sceneggiatore e prolifico regista – suo Il postino suona sempre due volte con Lana Turner – firma nel 1932 un piccolo gioiello in bianco e nero di soli sessantotto minuti: una commedia romantica e sofisticata, che richiama certi toni di Lubitsch, ma anche drammatica, che tratta temi pesanti come macigni – la malattia, la prospettiva di una morte prematura, l’assenza di futuro – con incredibile eleganza, leggerezza e ironia.

“La rosa tatuata” e il repertorio di Anna Magnani

Al contrario di quello che avviene in altri drammi dell’autore come Un tram che si chiama Desiderio La dolce ala della giovinezza, il passato non costituisce per la donna un rifugio da cui farsi opprimere né il punto di congiunzione tra una tragedia personale e il declino del Vecchio Sud. A Williams non importa in questo caso portare fiori per il Sud morto ma fornire a Magnani le occasioni per mettere in gioco il suo ampio repertorio di registri attoriali. 

Incontro con Ruben Östlund

L’appuntamento col pubblico, della durata di un’ora, è stato un percorso di rielaborazione delle prime esperienze con il cinema e del rapporto che il regista ha con la sociologia, scienza molto spesso ricorrente nei suoi film e passione trasmessagli dalla figura materna. Dagli esordi sui campi da sci in qualità di regista di video sportivi che gli hanno permesso l’ammissione alla scuola di cinema di Göteborg (anti-bergmaniana per eccellenza, in contrapposizione alla Stockholm Film School) fino alla fascinazione-inquietudine provata durante le proiezioni dei suoi film ai festival di cinema. 

“La signora della porta accanto” tra l’alchimia e l’amour fou

La signora della porta accanto, ventesimo lungometraggio di François Truffaut, è una storia d’amour fou nel senso più cinematografico del termine: l’alchimia tra Ardant e Depardieu è palpabile in ogni scena e il restauro in 4K permette di godere nuovamente appieno di luci, ombre e cromie che sottolineano gli stati d’animo dei protagonisti, ma è soprattutto la progressione drammatica della narrazione  a manifestare il loro graduale essere travolti dalla malattia d’amore.

Michael Powell e la commedia di costume

Succede sempre qualcosa (1934) e La sua ultima relazione (1936) sono due esempi di come Powell cerchi di forzare i limiti dettati dal sistema produttivo delle quote per impostare un discorso più personale sia dal punto di vista dell’analisi della società inglese degli anni Trenta che della forma cinematografica. I due film sono ascrivibili alla categoria delle “commedie di costume”, genere molto ampio che abbraccia ironia e satira, scandalo e mistero, indagine sociale e intreccio romantico.

“La Souriante Madame Beudet” e il potere emancipatorio dell’immaginazione

Se l’abilità della regista consiste mettere al servizio dell’impegno femminista la sua ricerca per lo sviluppo del linguaggio cinematografico La Souriante Madame Beudet di certo è un capolavoro particolarmente riuscito sotto questo aspetto. Allontanandosi da una rappresentazione realista e abbracciando un linguaggio onirico, mentre elabora una nuova sintassi cinematografica nel film ci offre una diversa immagine della femminilità, dove (anche) al genere femminile è concesso di desiderare e che tale desiderio può portare ad una sottile rivoluzione.

Incontro con Wim Wenders

Incontrando la stampa, Wenders ha parlato del restauro del suo Lampi sull’acqua – Nick’s Movie e dell’inizio della collaborazione tra la Cineteca di Bologna, la Wim Wenders Stiftung e CG Entertainment. Rievocandone la realizzazione, Wenders ha ricordato come fare un film su Nicholas Ray sia stato per lui molto particolare, vista la grande amicizia che lo legava al regista di Gioventù bruciata. Un coinvolgimento emotivo così forte ha reso l’esperienza estremamente diversa rispetto a quella avuta, per esempio, sul set del suo recente documentario che indaga il modo di vivere la religiosità di Papa Francesco.

“The Celluloid Closet” e il desiderio di rappresentazione

Al centro del documentario di Rob Epstein e Jeffrey Friedman, ispirato all’omonimo libro dell’attivista Vito Russo, vi è sì la storia particolare della rappresentazione dell’omosessualità nei primi 100 anni di Hollywood, raccontata da professionisti dell’industria e da spezzoni tratti da ben 122 film; ma investita di un afflato ecumenico, se come scriveva Emil Cioran “le esperienze soggettive più profonde sono anche le più universali”.

“Katharina – die Letzte” o la purezza degli ultimi

Nel ruolo di Katharina, Franziska Gaal – qui all’ultimo dei tre film di grande successo realizzati insieme al regista Hermann Kosterlitz, il produttore Joe Pasternak e lo sceneggiatore Felix Joachimson – è una commovente Cenerentola che conquista con i suoi occhioni ingenui, le espressioni del viso e i movimenti goffi. Rispetto ad altre commedie musicali di registi tedeschi in esilio dopo il 1933, Katharina – Die Letzte, pur mantenendo un’elegante leggerezza, tratta alcune tematiche sociali con maggiore profondità.

“La donna della spiaggia” e il cinema onirico di Renoir

Se è vero che ogni cosa trova una sua sistemazione, nella gioia o nel dolore, attraverso lo sguardo di Renoir, lo stesso non si può dire della travagliata storia produttiva del film, uscito nel ’47: riscritto a più riprese e rimontato due volte per volontà della RKO, fu comunque un insuccesso e costò a Renoir la carriera hollywoodiana. Restaurato qualche anno fa a partire da un duplicato di sicurezza del negativo 35mm, lo si ammira oggi come un noir decisamente atipico, perché imbevuto di un’atmosfera sognante e di un torbido mistero legato alle implicazioni inconsce piuttosto che all’intrigo adulterino.

Anna Magnani e i sogni di una nazione

Molti sogni per le strade (1948) di Mario Camerini e Nella città l’inferno (1958) di Renato Castellani non potrebbero sembrare, a prima vista, due film più diversi: commedia a lieto fine il primo, dramma carcerario il secondo. Eppure i due film sono accomunati dalla caratterizzazione dei due personaggi interpretati da Anna Magnani: attraverso di lei, queste due opere testimoniano la voglia di mobilità sociale della popolazione italiana nell’arco di dieci anni fondamentali che porteranno la nazione dalle rovine del secondo dopoguerra al boom economico. 

La forza della natura in Jean Epstein

“Sullo schermo non esiste una natura morta […] gli alberi gesticolano, le montagne si esprimono”. Così scriveva Jean Epstein nel saggio Le Cinématographe vu de l’Etna (1926), in cui esponeva il suo punto di vista sul lavoro fatto con La Montagne infidèle (1923). L’opera di Epstein mostra il suo grande interesse per la natura e la sua forza distruttrice. Il primo Epstein è capace di usare la violenza della natura anche in opere più atipiche come L’Auberge rouge (1923). Il film, tratto dall’omonima opera di Balzac, è girato principalmente in interni, ma la scena più forte ha come sfondo proprio l’elemento naturale e distruttivo della tempesta

Dietro le quinte del Roland Garros

Per gli appassionati di tennis inglesi e americani è “The French Open”: parliamo del Roland Garros, il più importante torneo su terra rossa. Da grande fan dello sport, il fotografo e regista William Klein decide di realizzare un documentario sull’edizione del 1981. Ciò che sorprende, del metodo Klein, è il livello di familiarità coi giocatori raggiunto dal regista dietro le quinte, e il grado di accesso garantitogli dall’organizzazione del torneo, da allora mai più ripetuto e del tutto impensabile al giorno d’oggi.

“L’arpa birmana” che riconosce l’umano in ogni cosa

In quanto testimone isolato degli effetti disumani del conflitto Mizushima si sente chiamato al lavoro definitivo della pietà: seppellire i morti, i morti sconosciuti e dimenticati che affollano le valli e le coste della Birmania, i morti che non appartengono più a nessuno. Così impara a riconoscere l’umano in ogni cosa, nel volto di un bambino cui insegnare a suonare il suo strumento, nelle ossa incrostate di fango al bordo di un fiume, nel pappagallo che gli sta sempre appollaiato sulla spalla, in un rubino trovato per caso nello scavare una tomba.

“La valle dell’Eden” e la falsa terra promessa

Nel conflitto familiare di Caleb con il padre Adam e il fratello Aron al centro del film può essere rintracciata la medesima sottotraccia biblica del romanzo originale, una rilettura moderna del mito di Caino e Abele entrambi desiderosi di compiacere il padre ma le cui opposte nature portano a diversi destini. Effettivamente è questo triangolo sentimentale il perno dell’opera di Kazan, che come Steinbeck è sempre attento agli ultimi, reietti, diseredati e dimenticati: raccontare il disagio di un Paese a partire dai suoi figli.

Dannati da qui all’eternità

Tutti associamo Da qui all’eternità all’immagine di Deborah Kerr e Burt Lancaster avvinghiati sulla spiaggia e accarezzati dalle onde, in una delle scene d’amore più iconiche della storia del cinema. Ma nel famoso film di Fred Zinneman del 1953 la traccia amorosa è in realtà solo uno dei tanti aspetti della vicenda narrata, basata sulle storie di vita e di amicizia di alcuni soldati all’interno di una base militare alle Hawaii, poco prima che l’America prendesse parte al secondo conflitto mondiale.

“La luce fantasma” e i generi in gioco

Come in altri film precedenti il sodalizio con Pressburger, La luce fantasma mostra già la creatività visiva di Powell e la costante fascinazione del regista per il paesaggio e per gli elementi naturali colti nella loro interazione con i personaggi. Un altro motivo di interesse risiede nel piacere ludico con cui Powell abusa consapevolmente delle convenzioni di genere per catturare progressivamente lo spettatore nella narrazione.