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“The Woman King” tra eroismo femminile e Diaspora africana
Basandosi su eventi reali e frutto di una lunga e approfondita ricerca il lungometraggio rilegge il mito della guerriere Agojie, un corpo di impavide Amazzoni a servizio del Regno di Dahomey che tra il 1600 e il 1900 si contraddistinse nella cattura e tratta atlantica degli schiavi. La sceneggiatura trasforma le guerriere in difenditrici della patria votate all’indipendenza dal dominio dell’Impero Oyo e dai suoi legami con i trafficanti di uomini europei e americani. Un’operazione che non ha intenti di falsificazione storica quanto di riflessiva rilettura di un ruolo sociale ancora oggi troppo sottovalutato.
“The African Desperate” tra ironia e critica sociale
Giocato sull’ironia e la critica sociale che contraddistinguono l’opera di Syms, il film si presta a una satira sul mondo dell’arte contemporanea visto come una sorta di alveolo protettivo ed esclusivo per aspiranti creativi un po’ fricchettoni, esaltati da una vita fuori dagli schemi a base di sballi sintetici e la ricerca di una forzata e ostentata alternatività. Quello di Palace diventa così un giro a vuoto, una specie di viaggio alla ricerca di un Io non raggiunto e forse irraggiungibile, motivo di quel disagio che permea il film sin dal titolo.
Chi ha paura dell’uomo nero? L’afroamericano e il cinema horror
Salito alla ribalta con Jordan Peele, l’horror afroamericano è diventato uno dei generi di maggior successo della recente produzione hollywoodiana con risultati altalenanti, ma comunque rappresentativi di un fenomeno culturale in rapida ascesa che, ribaltando gli stilemi classici del genere, ne rielabora e aggiorna contenuti, dinamiche e paradigmi narrative ormai consolidati. Ma la storia del cinema statunitense mostra chiaramente che la questione nera è stata da sempre connessa alla realtà nazionale o meglio a una sua lettura e conseguente rappresentazione discriminatoria e razzista.
La fotocinematografia di Stanley Kubrick
Edito da Mimesis, Look Over Look. Il cuore fotografico del cinema di Stanley Kubrick viene a colmare una significativa lacuna negli studi dedicati al grande regista newyorkese, evidenziando l’influenza che la fotografia ha avuto da sempre nella formazione artistica del cineasta, che esordì a 17 anni proprio come fotoreporter per la rivista “Look”. Ne parliamo con l’autrice Caterina Martino, studiosa di storia e teoria della fotografia italiana e internazionale nei suoi rapporti con le altre arti (in particolare cinema) e con il dibattito filosofico contemporaneo.
Non è facile essere il primo. “Sidney” di Reginald Hudlin
Dopo Marcia per la libertà, The Black Godfather e Safety – Sempre al tuo fianco, Reginald Hudlin continua la sua personale galleria di figure simboliche della società afroamericana del Novecento con Sidney, documentario prodotto da Oprah Winfrey e distribuito da Apple Tv+, dedicato alla prima black star hollywoodiana Sidney Poitier e al suo simbolico lascito culturale. Avvalendosi della collaborazione di Poitier stesso, il film diventa una sorta di racconto in prima persona della sua vita e carriera, arricchito dalle testimonianze di familiari, amici e colleghi.
Ceci n’est pas Maigret
In pratica Leconte parte da Maigret per rileggerlo, riscriverlo, reinterpretarlo allontanandosi dall’adattamento fedele e forse fuori tempo commerciale per darne una sua personale versione che esula dal personaggio stesso e dal suo contesto a partire dal titolo, che rimanda più all’idea del noto personaggio che al romanzo in oggetto. Come lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie, Maigret è altro: riprende la figura principale ma lo rielabora liberamente in un efficace racconto di genere che rimanda all’universo specifico di riferimento pur non venendone a farsi parte integrante.
“Nope” di Jordan Peele e la negazione dello sguardo – Speciale parte I
“Non guardare” è il divieto di scrutare la creatura per non esserne vittima. Il legame tra il protagonista e le fiere non è casuale. Da sempre associato a una denigrante idea di brutalità, l’afroamericano ha subito sin dalla schiavitù un trattamento analogo a quello riservato agli animali. Nero e bestia sono stati addomesticati a forza (torna qui il legame con il western, la sua poetica e ideologia) ed entrambi hanno sviluppato un istinto di salvaguardia, un’inaccessibilità che in definitiva li rende imprevedibili e perciò irrimediabilmente pericolosi.
In the Name of Soul. “The Blues Brothers” e l’abbattimento delle barriere
Ricca di una comicità rocambolesca e catastrofica, la pellicola si caratterizza però soprattutto per i cammei di grandi stelle della black music come James Brown, John Lee Hooker, Ray Charles, Aretha Franklin e Cab Calloway, irrinunciabili punti di arrivo e partenza per chiunque voglia approcciarsi alle sonorità afroamericane. Le loro esibizioni sono pietre miliari del cinema musicale tout-court: si pensi agli essenziali snodi narrativi rappresentati dai brani The Old Landmark, Shake A Tail Feather, Think o al virtuosismo vocale tipicamente nero di Calloway in Minnie The Moocher.
Addio Zio Tom. “Non predicare…spara!” di Sidney Poitier
Non è casuale che Poitier scelga di cimentarsi con il western, genere per eccellenza dedicato all’elegia della nazione e alla celebrazione del suo mito fondativo, mostrandone però un altro aspetto, più oscuro, violento e volutamente omesso dalla narrazione dominante a partire dalla rappresentazione di cowboy neri, storicamente stimati come un quarto dei mandriani statunitensi ma totalmente assenti dall’immaginario hollywoodiano. Le peripezie dell’ex-sergente Buck e del Predicatore, impegnati nel condurre un gruppo di schiavi liberati esuli dalla Louisiana al Kansas, sono un chiaro riferimento alla condizione dei neri americani del tempo.
“Harriet” e il viaggio dell’eroina
Autrice attenta al tortuoso percorso di emancipazione femminile nera (La baia di Eva, Self-made – La vita di Madam C. J. Walker), con Harriet Kasi Lemmons firma la sua opera forse più riuscita, sentito omaggio a una delle figure più emblematiche della storia afroamericana. La vita di Harriet Tubman, ex-schiava abolizionista poi guida per altri fuggiaschi e infine combattente nella Guerra di Secessione contro il Sud, diventa esempio significativo e mai sufficientemente sottolineato del contributo dato dalle donne afroamericane alla causa nera dalla schiavitù a oggi.
“Sankofa” di Haile Gerima nel passato rivolto al futuro
Frutto di una ricerca ventennale sull’argomento, il lungometraggio racconta la schiavitù africana negli Stati Uniti dal punto di vista degli schiavi in una sorta di compendio del ribattezzato Maafa, “l’Olocausto nero” che provocò circa 10 milioni di vittime nella sola tratta atlantica. Evitando la narrazione violenta ed esibita delle atrocità subite dai deportati tipica del genere slaveploitation (Mandingo o Drum, l’ultimo mandingo) o del mondo movie Addio Zio Tom, Gerima pone l’accento sulla perdita di identità e coscienza razziale di alcuni e la resistenza fisica e culturale di altri all’oppressione bianca.
“Gli Stati Uniti contro Billie Holiday” e contro il coraggio di una voce
Daniels ripercorre sì vita e carriera dell’artista ma con un intento diverso: raccontare non quanto già noto (l’infanzia traumatica, la dipendenza da alcol e droghe, l’autolesionismo sentimentale) bensì inserire questi aspetti nel contesto più complesso e articolato del suo tempo. Il centro del film non è dunque la biografia di Billie Holiday, ma piuttosto l’impatto che la sua esistenza ha avuto sulla propria immagine pubblica e come le sue debolezze siano state più volte sfruttate per attaccarla e delegittimarla.
“Quando eravamo re” e le parole oltre le immagini
Frutto di una gestazione di circa vent’anni e a ventiquattro dalla sua uscita in sala, Quando eravamo re si dimostra ancora oggi uno dei migliori esempi di documentario sportivo della storia del cinema, testimonianza dell’epico match pugilistico valido per il titolo mondiale di pesi massimi tra Muhammad Alì e George Foreman, il primo tra due afroamericani tenutosi in Africa, nel 1974. La manifestazione assunse da subito un’enorme portata: negli anni del black pride, due atleti neri di prima categoria si contendono il più alto riconoscimento della loro disciplina nella terra dei loro avi, da cui secoli prima partirono le prime navi cariche di schiavi dirette verso l’America.
Critica all’intellettualismo bianco. “La specialista” di Mariama Diallo
Presentato al Sundence Film Festival e distribuito da Prime Video, La specialista è il primo lungometraggio di Mariama Diallo autrice che Variety ha inserito tra i registi emergenti più promettenti del 2022. Il film si inserisce nel fortunato filone del nuovo black horror statunitense, interessante veicolo di aspre e pungenti critiche al sistema nazionale e al razzismo più o meno latente che ancora lo permea a più livelli e in diverse forme. Dinamiche che Diallo individua e contestualizza nei college universitari, luoghi esclusivi ed escludenti deputati alla formazione della futura classe dirigente in cui inevitabilmente si riflettono in scala minore attuali problematiche sociali.
“Martin Luther King VS FBI” e il nemico dietro la porta
Montatore noto soprattutto per le numerose collaborazioni con Spike Lee nonché affermato documentarista, Sam Pollard ha da sempre ripercorso con il suo cinema vicende individuali e collettive che rappresentano capitoli portanti della storia nazionale afroamericana. Martin Luther King VS FBI persegue il medesimo intento, omaggiando una figura essenziale della politica e della società statunitense inspiegabilmente trascurata da Hollywood. Basato sui documenti dell’FBI recentemente de-secretati in attesa che altro materiale venga reso pubblico nel 2027, il lavoro di Pollard ricostruisce con cura minuziosa le forme di spionaggio e ricatto che l’ufficio federale ha adoperato ai danni del leader nero.
Chiedi chi era Sidney Poitier
Difficile esprimere meglio l’impatto che Sidney Poitier ha avuto nel panorama statunitense dagli anni Cinquanta, quando coi suoi personaggi ha contribuito a scardinare gradualmente i presupposti iconografici hollywoodiani legati ai neri. Come Jackie Robinson per il baseball, Poitier è stato il primo attore afroamericano a rivestire ruoli da protagonista a Hollywood. La star nera per antonomasia del cinema nazionale, premiato da un successo duraturo e trasversale che ha superato la barriera del colore quale espressione di quel pensiero progressista che negli stessi anni stava prendendo piede nella società e nella cultura americana.
Nero a metà. “Il colore della libertà” e il nuovo cinema sociale americano
Il colore della libertà pare l’ennesimo film di impegno civile a sfondo razziale del cinema americano contemporaneo che, tra le produzioni indipendenti nere e quelle bianche hollywoodiane, si sta dimostrando uno dei filoni più redditizi e longevi del panorama nazionale. Ma il nuovo lungometraggio di Barry Alexander Brown supera le aspettative, proponendosi come efficace ritratto del teso contesto razziale statunitense degli anni Sessanta la cui evoluzione pare oggi ancora in corso. Come Spike Lee, il regista guarda al passato per riflettere sul presente, cercando nella storia del Paese le radici delle grandi questioni sociali ancora irrisolte.
Old Black West. “The Harder They Fall” e la storia americana
Quello che potrebbe apparire un divertissement cinefilo è invece l’azzardo di toccare il genere per eccellenza dell’elegia americana, attraverso il quale il pubblico novecentesco ha costruito un proprio immaginario e una – in buona parte falsa – coscienza storica. Il mito della terra selvaggia conquistata, domata e civilizzata dai bianchi ha rappresentato per decenni la fondamentale convinzione di essere nel giusto, gli eroi, i portatori di valori e ideali sui quali si è formato il pensiero maggioritario e il sogno a stelle e strisce da cui, per diritto ereditario, non si può essere svegliati.
Melvin Van Peebles, l’alfiere nero che diede scacco al re bianco
Scomparso nei giorni scorsi, Melvin Van Peebles è stata una delle più poliedriche e significative figure del cinema afroamericano, secondo per notorietà solo a Spike Lee e John Singleton che paradossalmente devono proprio a lui parte della loro fortunata carriera, debitori entrambi al guerrilla style delle sue opere divenuto un modello valido ancora oggi per molti autori neri emergenti. Pittore, attore, sceneggiatore, regista, produttore, montatore, musicista e scrittore, fautore di un cinema politico e orgogliosamente indipendente: i suoi personaggi politicamente scorretti, violenti e poco istruiti hanno contribuito tanto alla creazione di un nuovo modello di afroamericano, non edificante ma vero.
Say My Name. “Candyman” e lo sfruttamento della cultura nera
Il nuovo Candyman è l’incarnazione del dolore e dei soprusi subiti dagli afroamericani, un inconfessabile e impronunciabile desiderio di vendetta celato a forza nel profondo (le cantine del quartiere) le cui conseguenze altrimenti sarebbero letali. L’antieroe morto nel primo capitolo torna allora a rivivere periodicamente in ogni nero vittimizzato e brutalizzato in primis dalla polizia i cui atteggiamenti faziosi e scorretti sono qui mostrati in tutta la loro crudezza, segno più che mai evidente dell’influenza che #BLM ha assunto non solo sul piano politico e sociale, ma anche e soprattutto culturale.