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“La guerra del Tiburtino III” tra citazioni e allegoria

Luna Gualano, alla sua terza regia, conferma la sua passione cinefila per i film statunitensi e una propensione alla cinematografia anni Cinquanta. Ne La guerra del Tiburtino III l’omaggio a L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel diventa esplicito con l’apparizione del bruco che esce dal meteorite ed entra nel corpo dell’umano, forse un po’ anche Il demone sotto la pelle di David Cronenberg.

“Our Hospitality” e la trasformazione della comicità keatoniana

La legge dellospitalità, in originale Our Hospitality, è il secondo lungometraggio autoprodotto e diretto da Buster Keaton insieme a John G. Blystone. Film che vede una delle sequenze più note della filmografia di Buster Keaton, ovvero quella della cascata, un incredibile esercizio acrobatico che vede l’attore aggrappato ad un tronco, non molto stabile, al quale è oltretutto legato con una corda dalla quale non riesce a liberarsi.

Incontro con Wim Wenders

Incontrando la stampa, Wenders ha parlato del restauro del suo Lampi sull’acqua – Nick’s Movie e dell’inizio della collaborazione tra la Cineteca di Bologna, la Wim Wenders Stiftung e CG Entertainment. Rievocandone la realizzazione, Wenders ha ricordato come fare un film su Nicholas Ray sia stato per lui molto particolare, vista la grande amicizia che lo legava al regista di Gioventù bruciata. Un coinvolgimento emotivo così forte ha reso l’esperienza estremamente diversa rispetto a quella avuta, per esempio, sul set del suo recente documentario che indaga il modo di vivere la religiosità di Papa Francesco.

“Katharina – die Letzte” o la purezza degli ultimi

Nel ruolo di Katharina, Franziska Gaal – qui all’ultimo dei tre film di grande successo realizzati insieme al regista Hermann Kosterlitz, il produttore Joe Pasternak e lo sceneggiatore Felix Joachimson – è una commovente Cenerentola che conquista con i suoi occhioni ingenui, le espressioni del viso e i movimenti goffi. Rispetto ad altre commedie musicali di registi tedeschi in esilio dopo il 1933, Katharina – Die Letzte, pur mantenendo un’elegante leggerezza, tratta alcune tematiche sociali con maggiore profondità.

“Csárdás” come lettera d’amore alla mondanità

Csárdás di Jakob Fleck, Luise Ffleck e Walter Kolm-Veltée è una commedia esilarante che decide di raccontare la vita notturna delle grandi città in maniera frivola. Lukas Foerster scrive che il film è una “lettera d’amore” alla mondanità e ai piaceri dei locali serali, delle sale in cui si balla a ritmo di jazz e scorrono fiumi di alcol. Una situazione “tipica di molte grandi città europee nel corso degli anni Venti: proprio il tipo di divertimento che in Germania la politica ufficiale nazista tentava con ogni mezzo di soffocare”.

“Ball im Savoy” e la contagiosa frenesia

I numeri musicali di Ball im Savoy sono la principale attrazione, non solo narrativamente, ma anche in termini stilistici, e questo lo si deve alle straordinarie coreografie viste dall’alto, probabilmente influenzate da Busby Berkeley. La trama procede in maniera spigliata e disinvolta, un po’ come la macchina da presa che sembra inseguire i suoi protagonisti nella loro contagiosa frenesia.

“Salto in die Seligkeit” e la commedia dei consumi

Fritz Wiesinger (Fritz Schulz) fa l’animatore all’interno del colossale centro commerciale May. Il suo ruolo è quello di intervenire, quando i clienti sono troppo esigenti o indecisi, fingendosi un compratore aristocratico e blasonato interessato all’acquisto delle merci. Una mattina incontra Anny (Olly Gebauer), una giovane fioraia, di cui subito si invaghisce, ma non le racconta del proprio lavoro. Salto in Die Seligkeit di Fritz Schulz procede con un ritmo frenetico tra belle sequenze musicali e spassose indagini senza senso. Il grande magazzino è uno dei principali protagonisti della narrazione perché non fa solo da sfondo alle vicende, ma è anche argomento di discussione e chiave di sviluppo per tutte le sotto-trame.

“Peter” sovversivo e tragicomico

In Peter la commedia en travesti sfrutta il mascheramento per ottenere vantaggi e soprattutto cambiare le cose nel mondo di questi personaggi.  Non siamo più nella Germania della Repubblica di Weimar, ma abbiamo davanti registi, autori, attori e altri operatori cinematografici tedeschi, qui in esilio perché ebrei, che hanno però vissuto quel periodo e che soprattutto erano in vetta all’interno del settore cinematografico. Essi riuscirono comunque a mantenere l’impronta delle loro precedenti produzioni e quindi una certa continuità in termini di costruzione narrativa e filmica.

“Vera” con tutte le sue contraddizioni

Vera è un film che non si guarda per la storia d’amore tossica, gli inganni spiccioli e gli stereotipi, ma perché Vera Gemma è straordinaria. La sua scelta di un’estetica non conforme alle norme e la sua camminata possente sul tacco 12 – enfatizzata da una regia che la asseconda e la segue nel suo muoversi tra audizioni borghesi e la periferia romana – e la sua presenza scenica sono probabilmente le cose che hanno portato Vera alla vittoria nella sezione Orizzonti alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia.

“Diabolik – Ginko all’attacco!” e la visione fumettistica

I fratelli Manetti dirigono in maniera ancor più fumettistica, rispetto al primo capitolo, un testo che, come in passato, è un fumetto già dall’uso del “voi” tra i personaggi. Si pensi al ralenti del gettone telefonico che viene lanciato alla ballerina nella sequenza successiva ai titoli di testa, al lancio del pugnale, agli scambi di sguardi – quello a chiusura della linea narrativa tra Valerio Mastandrea/Ginko e Altea è intriso anche di cultura pop, infatti potrebbe ricordare lo sguardo sornione e contrito di Jerry Calà nel finale di Sapore di mare di Carlo Vanzina – ai primi piani e al frequente uso di dettagli e del campo-controcampo; strutturati e composti in maniera quasi desueta rispetto alla classica costruzione del quadro cinematografico.

“Catherine Called Birdy” ovvero il diario medievale di una teen ager

Catherine Called Birdy è un film distribuito da Prime video e tratto dall’omonimo romanzo di Karen Cushman di cui mantiene la forma di racconto attraverso il diario. Questo sembra rendere infantile l’intera vicenda, ma in realtà aiuta a esplicitare il fatto che ciò a cui stiamo assistendo è esclusivamente la visione della protagonista. L’adolescenza spesso genera una chiusura in sé stessi o comunque questo è ciò che succede al personaggio di Birdy – un’adolescente spregiudicata un po’ alla Catherine Spaak  ne I dolci inganni e La voglia matta – che la Dunham tiene sempre al centro dell’inquadratura e alla quale dedica la maggior parte dei primi piani e piani medi.

“Ti mangio il cuore” e la tradizione incontrastabile

Ti mangio il cuore, tratto dall’omonimo romanzo d’inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, si svolge in un un universo chiuso in sé stesso fatto di masserie, campi, paesi arroccati, allevamenti, sterco e fango, sembra non esistere qualcos’altro oltre il promontorio. La regia di Pippo Mezzapesa spesso si sofferma sui primi piani delle persone che con il Gargano sono diventati un tutt’uno e a tratti questa scelta può portare a pensare alle significative inquadrature di Daniele Ciprì e Franco Maresco in Totò che visse due volte o anche de Lo zio di Brooklyn.

La commedia tedesca degli anni Trenta e il dramma occultato

Il popolo tedesco aveva da poco passato il periodo buio del primo dopoguerra. Il clima generale dopo il 1925 (e il piano Dawes) si era disteso, ma con la crisi del ’29, la contraddizione della Repubblica di Weimar aveva riportato un clima tragico. Venne introdotto il sonoro e molti registi e attori emigrati ritornarono in patria. Intanto l’U.F.A. iniziò a produrre pellicole dai toni e dalle tematiche più leggere. Il nazismo avanzava minaccioso predicando nuove guerre. In questo clima vengono prodotti molti film a tema pacifista e queste commedie musicali.

“Cantando sotto la pioggia” e il miracolo collettivo

La nostalgia di Donen e Kelly per l’epoca d’oro di Hollywood è celata dietro personaggi che non affrontando reali difficoltà e che trovano nell’esibizione canora e danzata un modo per andare avanti. Il pubblico, straordinariamente entusiasta per riuscire a trattenere le proprie emozioni, finisce per applaudire alla fine di ogni numero musicale. Spettatori (cinefili e non e di tutte le età) abituati, rispetto alla sola televisione dell’epoca in cui uscì Singin’ in the Rain, ad avere accesso a diversi dispositivi tecnologici, utilizzati anche per guardare film pensati per lo schermo da sala, ma che hanno deciso di riunirsi in questa occasione per poter (ri)vedere il film mediante una fruizione più tradizionale. 

Equivoci e frastuoni. Commedie musicali tedesche 1930-32

Era l’inizio degli anni Trenta quando questi film vennero distribuiti nelle sale cinematografiche tedesche. Le loro allusioni, la leggerezza della trame e di conseguenza l’evasione dalla realtà che questi portavano agli spettatori, vennero giudicati male da tutta la politica dell’epoca, sia quindi dai nazisti che dagli oppositori. Cosa unisce i film Wer Nimmt Die Liebe Ernst?, Die Privatsekretärin, Ich Bei Tag und du Bei Nacht e Der Brave Sünder? Sicuramente le frivole storie d’amore, la musicalità, le scene di ubriacatura, gli imbrogli, gli equivoci e si potrebbe continuare. Tutti questi elementi sono al servizio di uno spettatore alla ricerca della leggerezza, del conformismo, ma senza rinunciare a una forma che in un certo qual modo può anche essere ricercata. 

“Crazy to Marry”: una mimica fra circo e vaudeville

L’umorismo di Crazy to Marry è per lo più fondato sulle gag relative all’aspetto fisico di ‘Fatty’ Arbuckle e alla mimica, sua e di Lila Lee, a metà fra circo e vaudeville. Il personaggio del dottor Hobart Hupp vede nel corso del film una crescita progressiva: all’inizio sembra innocuo e non particolarmente arguto, ma sul finale, portato all’esasperazione dagli eventi, diventa finalmente un essere capace di astuzie. Questo tuttavia non basta a far percepire il film come particolarmente esilarante. Si potrebbe anche pensare che, blasfemamente, il suo elemento di maggior intrattenimento siano le eccessive didascalie di dialogo.

“Ihre Majestät die Liebe” al Cinema Ritrovato 2022

Ihre Majestät die Liebe è una commedia che, a distanza di tempo, conserva il suo brio e celebra il rapporto tra il moderno capitalismo e la vita notturna tedesca: fiumi di spumante scorrono in ogni dove, gli abiti, anche i più umili, sono sempre sfarzosi, i palazzi e il loro arredamento sono estremamente moderni. Il film mostra una Germania che di lì a poco non ci sarebbe più stata. Molti membri del cast e della produzione erano di origine ebrea e dopo la presa del potere da parte dei nazisti furono costretti a lasciare il paese e Otto Wallburg e Kurt Gerron morirono nei campi di concentramento.

“Carmen” con parvenza realistica. Francesco Rosi e l’opera di Bizet

Rosi realizza un film-opera molto fedele all’opera di Bizet, fondato su un buon connubio tra musica e immagine e lo ambienta in una Spagna solare, aiutato dalla bella fotografia plastica e dai toni caldi di Pasqualino De Santis. Infatti Rosi ricostruisce e conferisce una parvenza realistica alle diverse scene come quella della manifattura di tabacco dove Carmen e le altre donne lavorano. Lì si può notare l’enorme quantità di bambini, presenti in scena, che le madri affannate, accaldate, ma potenziali seduttrici come le altre, erano costrette a portare con sé.

“La fiera delle illusioni” senza redenzione

A un primo livello il personaggio di Stan è avvicinabile per movenze e abiti al protagonista de Il postino suona sempre due volte di Tay Garnett (1946). Però a Guillermo del Toro non basta e quindi inserisce alcuni tratti del Frank del remake di Bob Rafelson, ma non è ancora sufficiente. Quindi se il personaggio interpretato da Jack Nicholson passa dall’avere una spiccata propensione alla negatività al diventare negativo, quello interpretato da Bradley Cooper è un predestinato, può solo ricevere e dare morte, opprimere ed essere oppresso, incantandoci e illudendosi di non esserlo. Del Toro ci mette quindi davanti a un film disperato e a una storia ingannevole.

“Diabolik” e il fotogramma come fumetto

I fratelli Manetti dipingono una versione degli anni Sessanta che guarda ai grandi maestri del cinema, da Mario Bava a Dario Argento e soprattutto Alfred Hitchcock, diversamente da come lo avrebbe fatto un manierista come Luca Guadagnino. Decidono infatti di inquadrare gli attori e le atmosfere con uno sguardo fumettistico. Questo Diabolik non vuole essere un film tratto da un fumetto, ma sembra quasi voler continuare ad essere un fumetto. E sla “lentezza” della narrazione che in molti stanno criticando negativamente è per i Manetti una scelta nella resa dell’immagine di voler catturare quel momento e imprimerlo in fotogrammi come se fosse disegnato e stampato su carta.