Archivio
“Godzilla” 70 anni dopo
Se Godzilla è un simbolo che sintetizza sentimenti negativi, e non solo un mostro di 50 metri, allora la domanda “Perché Godzilla è sopravvissuto ad una così mostruosa sovraesposizione alle radiazioni atomiche?” è traducibile come una domanda sulla condizione umana: “Perché la nostra tendenza autodistruttiva è sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale?”, o anche “Perché non abbiamo appreso la lezione della storia?”.
“Quarto potere” oltre la posterità
Welles ragiona sulla società di massa sia relativamente alla sfera pubblica che a quella privata, e una delle sue più grandi intuizioni è proprio preconizzare come non saremmo mai più stati da soli, eppure ci saremmo sentiti sempre più tali. Quarto potere è disseminato di spazi troppo pieni, di persone e cose, o troppo vuoti: sono pieni la redazione del giornale, le feste, i comizi elettorali, vuoti la camera della sua morte, il castello abnorme dove lui e la seconda moglie sopravvivono asfittici, le infinite porte sulle infinite stanze deserte.
“Il mistero scorre sul fiume” rarefatto e sfuggente
Presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2024, Il mistero scorre sul fiume di Wei Shujun è un giallo inusuale, un noir rarefatto e sfuggente. Il titolo scelto dalla distribuzione italiana strizza l’occhio al classico di Laughton col quale si potrebbero tessere interessanti parallelismi. In realtà il titolo originale è lo stesso del racconto da cui il film è tratto, ovvero Errore in riva al fiume di Yu Hua, uno dei più importanti scrittori cinesi.
“La Ciociara” e la consacrazione della star
La Ciociara (1960) apre la decade della definitiva consacrazione di Sofia Loren a star internazionale, status a cui il film di De Sica contribuisce in modo determinante facendo vincere all’attrice, tra i tanti prestigiosi riconoscimenti, quello più ambito: l’Oscar per la migliore interpretazione femminile. La Ciociara doveva essere inizialmente il film di due star, con Anna Magnani nel ruolo di Cesira e Loren in quello della figlia. I dubbi e il rifiuto finale della Magnani furono alla base della trasformazione del film in un veicolo per la Loren, unica vera star.
“La morte è un problema dei vivi” e i margini della società
Teemu Nikki, autore del premiato Il cieco che non voleva vedere Titanic (2021), torna ad occuparsi di malattia e di vite ai margini della società, i cui capitoli sono scanditi sapientemente da una colonna sonora sospesa tra jazz e rock finlandese degli anni ’80 a sottolineare le differenze tra i due personaggi principali, ma anche il destino che li lega. Infatti, Risto e Arto ascoltano alternativamente i diversi generi di musica all’interno della nuova “casa” comune in cui si sono trasferiti.
“Racconto di due stagioni” nel gelo dell’utopia
Come suo solito, Ceylan trascina lo spettatore all’esperienza di una durata immergendolo in estenuanti disfide dialettiche e pittorici squarci paesaggistici, ma è solo attraverso questa pratica di attento ascolto e di osservazione contemplativa che qualcosa come una lezione può compiersi: così trascorsa la fredda stagione, camminando sulla secca erba falcidiata dal gelo Samet si renderà conto di aver sempre vagato nel deserto della sua anima.
“Sbatti il mostro in prima pagina” evocativo del cinema politico post-68
Sbatti il mostro in prima pagina (1972) è immediatamente evocativo della capacità di un certo cinema italiano degli anni che hanno seguito il ’68 e preceduto il terrorismo di creare dibattito e passione politica. La denuncia del controllo dell’informazione da parte del capitale a scopo di contenimento politico, tuttavia, non fu unanimemente considerata in chiave anti-padronale, nonostante il soggetto di Sergio Donati, a cui inizialmente era stata affidata anche la regia, fosse stato rielaborato da Bellocchio e Goffredo Fofi, autore vicino alla galassia extra-parlamentare.
“L’amante dell’astronauta” più leggero e meno drammatico
Il pregio del film di Berger è quello di delineare con grande delicatezza, seppure con un certo paternalistico compiacimento nient’affatto giudicante, questa coreografia tra due insicurezze che si incontrano. Se dalla prima sequenza appare evidente che uno dei temi cardine della pellicola sia quello dello spaesamento, la regia e la sceneggiatura di Berger lo strutturano in modo leggero, evitando un tono da dramma esistenziale.
“Hit Man” e la trasformazione della maschera
Qui non è soltanto l’identità a rivestire una capitale importanza nell’evoluzione della storia raccontata in Hit Man, liberamente tratto da un articolo di Skip Hollandsworth apparso sul Texas Monthly nel 2001. Difatti, immersi in un presente frammentato e incerto, Gary Johnson e i suoi compagni di sventura, criminali da strapazzo compresi, individuano soprattutto nel “cambiamento”, nella “trasformazione” la cifra esistenziale, la bussola da utilizzare per farcela. Poiché, ogni giornata richiede la sua specifica performance, la sua maschera.
“Fremont” tra migrazione e futuro
Co-sceneggiato da Caterina Cavalli, reduce dal successo di Amanda (2022), e dal regista britannico-iraniano Babak Jalali, Fremont racconta, ancora una volta, una storia di immigrazione negli Stati Uniti alla ricerca di un futuro migliore, ma con un bianco e nero asciutto e una scrittura priva di retorica edificante con annessa mobilità sociale. La protagonista Donya, profuga afghana, dice chiaramente di voler un futuro migliore al suo originale psicanalista che la conduce con bizzarra brutalità a confrontarsi con il suo disturbo da stress post-traumatico.
Chiedi chi era Kozaburo Yoshimura
Kozaburo Yoshimura ha iniziato la sua carriera cinematografica facendo da assistente alla regia per Ozu, dal quale ha ereditato diversi tratti, come l’interessarsi ad un tipo di narrazione sociale. Quindi all’interno del cinema di Yoshimura ritornano sia il rapporto genitori-figli, sia le contraddizioni della società giapponese e in parte anche l’accettazione calma e ascetica della vita, cifre stilistiche di Ozu. Questi si aggiungono però ad altri temi fondamentali per Yoshimura tra cui il ruolo della donna nella società giapponese.
“Inside Out 2” dove tutto è al posto giusto (anche troppo)
La regista esordiente Kelsey Mann “si limita” a portare in scena il copione rispettando i riferimenti creativi alla base del successo del 2015, lavorando quindi su forme, colori e dimensioni in grado di abbracciare il pubblico più largo possibile, dalle platee più infantili a quelle più cinefile e accorte. Tutto è al posto giusto, diventa difficile recriminare qualche sbavatura e il film non può che appagare il pubblico di ogni età (si veda lo strepitoso successo al botteghino mondiale).
Chiedi chi era Delphine Seyrig
Nella sua produzione video Seyrig giungerà alla cancellazione della sua immagine a favore della presentificazione in quanto voce. Sois belle et tais-toi! rappresenta la definitiva evasione dalla vetrina. Se in Golden Eighties l’approccio dialettico-materialista di fedeltà assoluta alla vita invetrinata lasciava intendere l’oscenità della melanconia femminile, qui il medesimo procedimento s’accorda alle singolari voci di attrici esasperate dalle condizioni di lavoro.
“I compari” sconfitti del capitalismo americano
Ambientato all’inizio del XX secolo in una cosiddetta boomtown nel nordovest degli Stati Uniti, I compari è un grande film emozionale sull’affermazione del capitalismo, su come apparentemente agisca da collante tra vite che in realtà conduce all’estraneazione e alla rinuncia – un film sugli sconfitti e sul calore irrecuperabile sprigionato dalla loro sconfitta.
Il west straniante di Robert Altman. “I compari” e la revisione del mito
Il western è sempre stato lo specchio degli Stati Uniti, il genere epico per eccellenza, celebrativo della storia nazionale e spesso investito dell’onere di rispecchiarne i valori. Era già da diversi anni, quando usciva nelle sale I compari, che la cultura e il cinema statunitensi venivano revisionati sotto uno sguardo critico e disilluso. Complice anche la guerra in Vietnam, già bersaglio della satira altmaniana, si viene a creare un clima culturale di ripensamento sul ruolo della nazione nel mondo.
“Sono nato ma…” e la crisi della figura paterna
Sono nato, ma… racconta della crisi della figura paterna agli occhi dei figli: le aspettative deluse, il confronto con altri padri che sembrano “pezzi grossi” rispetto al proprio, la perdita della stima sulla base delle umiliazioni subìte dal genitore. Ma il film racconta anche il superamento di questa crisi, con la comprensione dei sacrifici dei genitori, le conseguenze dell’abnegazione paterna sulla qualità della vita dei figli, la possibilità di vedere soddisfatte le proprie elementari esigenze grazie ai compromessi a cui si abbassano i padri.
“L’infernale Quinlan” e la diva Marlene
Annunciato da Newsweek come la grande occasione per il ritorno a Hollywood del prodigio Welles dopo dieci anni trascorsi in Europa, L’infernale Quinlan (1958) ebbe invece una lavorazione complicata che culminò con la decisione della Universal di esautorare il regista dalla postproduzione e incaricare Harry Keller di dirigere alcune scene per migliorare la continuità e la comprensibilità del film.
Il cinema giocoso di Stephanie Rothman
Tra l’horror e il cinema d’exploitation Stephanie Rothman è stata una delle pochissime registe donne a riuscire a ritagliarsi uno spazio nel mainstream americano, trovando anche una certa indipendenza e autonomia nella direzione dei propri film. Con una formazione da sociologa (si è laureata in sociologia a Berkeley) e una predilezione per i film a basso costo, Rothman è riuscita a delineare all’interno del genere uno stile del tutto unico e originale.
Case che crollano nel cinema siriano
Case che crollano, case infestate da zombie ronfanti. Nei primi due lungometraggi scritti da Ossama Mohammed (Stars in Broad Daylight, da lui diretto, e Al-Leil di Mohammad Malas), la casa, metafora della Siria, ha pareti fragili o mediocri padroni. Un dittico che può dirsi complementare sul centro vuoto del paterno a cui supplisce una ridicola deriva autoritaria, sulle storture di una società conservatrice e religiosa e sull’impotenza di trasformare lo stato delle cose da parte dei civili.
“Tirate sul pianista” in totale libertà artistica
Si rimane storditi a ogni cambio di passo, perché ciò significa abbandonare il poliziesco per lasciarsi condurre in una storia romantica o scontrarsi improvvisamente e inaspettatamente con una tragedia. Lo stesso Truffaut era consapevole del fatto che questo film sconcertasse tutti e anche oggi molte scelte registiche e narrative stupiscono ancora. Tirate sul pianista rende libero un racconto che non dovrebbe esserlo.