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“West Side Story” come manifesto dell’amore di Spielberg per il cinema

West Side Story è il manifesto più esplicito dell’amore che Spielberg nutre nei confronti del cinema. La sua passione, la sua venerazione per la settima arte è paragonabile a un sacramento. Così, più che ricercare e far dialogare la pellicola con i grandi riferimenti del genere, ha senso provare a interrogarsi sulle rime interne alla carriera del regista. Ce ne sono molte, anche se la più ingombrante resta quel para siempre (pronunciato tra l’altro da Rita Moreno che incarna alla perfezione quel siempre, essendo presente tanto qui che nel West Side Story classico) con il quale si chiudeva anche E.T.. Lì una promessa (ir)realizzabile solo grazie al cinema, qui un miracolo certificabile esclusivamente nel cinema.

“La vetta degli dei” e l’animazione sensoriale tra i ghiacciai dell’Everest

La vetta degli dei vuole, anzi, deve essere un film spettacolare, mozzafiato. Racconta di gesti atletici impensabili per noi comuni mortali, di panorami da contemplare in tutta la loro potenza e di un ambiente naturalistico che forse non riusciremmo nemmeno a immaginare per quanto è distante dal nostro vissuto. Imbert lo sa, ma sa anche che il suo cinema è fatto di tratto e colore. A maggior ragione poiché deve le sue origini al disegno giapponese di Jiro Tanigouchi. Eppure è proprio in questo cortocircuito, in questo ossimoro visivo che si concretizza il valore principale del film. 

“Encanto” e il neo-rinascimento Disney

Encanto sembra inserirsi perfettamente in questa nuova fase che potremmo denominare “Neo-rinascimento”. Dopo l’exploit degli anni Novanta infatti, dove film diventati subito intramontabili hanno risvegliato le sorti di una Disney quanto mai disorientata e confusa, il nuovo millennio è stato probabilmente il periodo più eterogeneo e meno coerente della casa. Tra la crisi creativa dei classici, l’ascesa di Pixar, l’assimilazione delle galassie Marvel e Star Wars e l’arrivo della piattaforma streaming, i classici hanno subito una mancanza di coesione che si è palesata a più riprese.

“Ghostbusters: Legacy” fra autore e blockbuster

Ghostbusters: Legacy si dimostra una delle operazioni più consapevoli, appassionate e sincere prodotto negli anni più recenti. Il film non vuole solamente ammiccare a un modello che ha fatto Storia, a un’epoca che non c’è più. Non si tratta unicamente di una grande operazione commerciale guidata dall’algoritmo che conosce tutte le regole del caso per attirare a sé i soldi di una determinata fanbase. Legacy è invece un film di Jason Reitman, in tutto e per tutto, che non ha paura di confrontarsi con il suo creatore (biologico e filmico) senza però evitare di mettersi in luce per quello che è. 

Comizi di cinema. “Futura” e l’Italia di oggi

In Futura, sorta di reportage che vede la collaborazione di tre tra i più interessanti e talentuosi registi italiani contemporanei (Marcello, Rohrwacher e Munzi) si respira, per tutta la durata del lungometraggio, una continua tensione tra passato e futuro. Si tratta di un film elasticizzato in cui la convivenza tra le due dimensioni temporali è di fatto il tema portante del progetto e contemporaneamente la cifra stilistica adottata per espletarlo. I tre autori, singolarmente, girano in lungo e in largo per l’Italia intervistando (senza mai riprendere se stessi) ragazzi dai quindici ai vent’anni in merito alle loro sensazioni riguardo il futuro. Paure, sogni, preoccupazioni, attese: sono questi i temi centrali delle domande poste dagli autori e su cui molti adolescenti avranno di che dissentire.

“Days” e lo specchio della storia del cinema

Tutto scorre in una dolce sinfonia perfettamente orchestrata da un regista ormai non più giovanissimo che si trova, ancora una volta, a fare i conti con un cinema anacronistico, fuori tempo massimo. Un regista al quale però è sufficiente inquadrare un ragazzo che lascia risuonare un carillon nel cuore di una città per esprimere una potenza cinematografica che, ancora oggi, sembra avere ben pochi rivali. E se poi il brano musicale non è altri che il tema principale Luci della ribalta (1952), allora sembra davvero di assistere alla Storia (del cinema) specchiarsi in se stessa.

“Beckett” e la lezione del cinema politico americano

A sei anni di distanza dal suo precedente film, Ferdinando Cito Filomarino continua a insistere sul tema dell’identità. Proprio come in Antonia (biopic dell’artista Antonia Pozzi in cui il titolo era nuovamente il nome di una persona), anche in Beckett la cornice narrativa è solo un pretesto per lasciare spazio a una ricerca individuale. Sposando uno sguardo sporco, grezzo e frenetico, la mise en abyme di Beckett funziona per condurre il pubblico sulla “messa in abisso” del protagonista. Lo sforzo di provare ad aggiornare la lezione del cinema politico tanto caro soprattutto all’industria statunitense degli anni Settanta si sente e risulta una scelta indovinata. 

“Annette” e il mare mosso del cinema di Carax

Annette è un film che si scalda con il passare dei minuti, prende la ricorsa nella prima sequenza e poi percorre una strada tutta sua. Nell’incipit infatti, costruito come un collante perfetto con il film precedente, il cast e la troupe accordano gli strumenti musicali che saranno utili per il proseguo della pellicola, mentre il regista “accorda” la macchina da presa con soluzioni visive che sono un semplice antipasto di quello che vedremo lungo la narrazione. Esattamente come il personaggio che dà il titolo al film, Annette si pone da subito come ponte ideale in grado di unire realtà e finzione, backstage e proscenico.

“Luca” e il ricordo di un’infanzia italiana

L’Italia cartoonizzata da Pixar non è allora un’Italia stereotipata, quanto un’Italia ricostruita a cominciare dai ricordi del regista, dalle sue sensazioni e dalle sue emozioni di quando era ragazzo. Forte di questa componente personale molto accesa, Luca è quindi un film da riscoprire al là delle semplici apparenze. Vero, abbiamo a che vedere con un progetto meno ambizioso, più semplice e lineare rispetto al canone Pixar, eppure Casarosa costruisce e abita la sua dimensione senza provare ad ambire altrove. Sa bene quello che vuole raccontare, l’autenticità della sostanza alla base del suo lavoro, e su quella si concentra focalizzando tutte le sue energie.

“I Mitchell contro le macchine” tra vecchio mondo e nuovi linguaggi

Il cinema è l’antidoto. Mike Rianda e Jeff Rowe lo sanno, quindi provano ad aggiornalo. Il loro lavoro si inserisce perfettamente nel solco tracciato da Spider-Man – Un nuovo universo, proponendo un’idea di animazione audace, diversa, ibrida. Se lì si facevano i conti con la natura delle immagini nate dal mondo del fumetto, qui è l’estetica “amatoriale” di internet a essere indagata in un minestrone di idee e soluzioni visive in grado di restituire lo strabordante oceano di forme e colori proprio della comunicazione odierna. Il vecchio e il nuovo sono destinati a mescolarsi e susseguirsi: macchine e uomini.

“Raya e l’ultimo drago” tra novità e ricostruzione

Ciò che maggiormente salta all’occhio durante la visione di questo ultimo film Disney è la sua abilità nell’accontentare il pubblico di oggi senza dover per forza privarsi della sua componente più genuina e, perché no, politica. Si tratta infatti di un film pienamente ancorato al qui e ora più recente, da un punto di vista narrativo, tematico e anche di mercato. Sono anni di grandi e repentini cambiamenti sociali. Le minoranze stanno finalmente trovando una loro voce in grado di rappresentarle e hanno poco alla volta trovato il supporto delle major. Raya e l’ultimo drago quindi prova a sdoganare l’idea di una principessa acqua e sapone per ergere a protagonista una ragazza guerriera nata e cresciuta in un mondo lontano (a Oriente).

Aprire o non aprire. Questo è il dilemma

Un cinema chiuso resta un problema per tutti: per chi ci lavora, per il pubblico, per la cultura. Sostenere la cultura non dovrebbe mai significare sostenerne la chiusura, quanto fornirle una stampella per rimane aperti, per resistere e premiare lo sforzo e le scelte di alcuni appassionati, folli e innamorati lavoratori che hanno deciso di persistere in un campo alieno a qualsiasi logica di mercato ma guidato da un amore irrazionale che diventa linfa vitale per milioni di persone. Ristorare un cinema chiuso rischia, oggi, di sortire l’effetto di un chiodo piantato in una bara. Per scoperchiarla e sperare in una rinascita, in una risurrezione, bisognerebbe provare a ristorare chi anche in una simile annata trova il coraggio e la passione per aprire.

“Adolescenti” e la maschera del tempo

Adolescenti è talmente fluido e veritiero da sembrare finto. Lifshitz mette infatti la sua firma su un dramma che ha tutte le caratteristiche dei canovacci ormai più classici: amicizia, gelosia, fisicità, sessualità, divertimento, studio, lavoro, preoccupazioni, malattia. Tutto questo e anche di più viene mostrato risultando quasi stereotipato. Dimostrando non solo quanto il cinema debba alla vita e quanto poco accada il contrario, ma anche che le sensazioni e i sentimenti presenti in questo film siano così potenti da essere sprigionati a gran voce.  Siamo lontani dall’occhio voyeristico di Kechiche o dalla messa in scena temporale di Boyhood.

L’animazione di Cartoon Saloon. La forma è il contenuto

Riducendo all’osso la politica degli autori tanto cara alla critica francese degli anni Sessanta, il cinema di Tomm Moore si fa forte di un marchio di fabbrica formale e tematico. La cosa davvero sorprendente e che rende la sua Cartoon Saloon uno degli esempi d’animazione più virtuosi di questa ultima decade, è che secondo Moore forma e contenuto non sono da scindere, anzi, la forma è contenuto. Il tratto del suo cinema è immediatamente riconoscibile. Il regista lavora anacronisticamente, porta indietro le lancette del tempo per guardare a un futuro che si fa sempre più presente. Rinunciando infatti all’utilizzo della CGI o di altre tecniche digitali, il suo stile lavora su linee e forme bidimensionali, fondali evocativi, luci e ombre a cavallo tra graphic novel ed espressionismo tedesco, per dare vita a quello che potremmo chiamare cinema d’illustrazione.