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“Empire of Light” e l’arte di contenere l’angoscia

Accantonata la prospettiva di manifestarsi sotto forma di dichiarazione d’amore, qui il cinema assume le sembianze di una fune sopra l’abisso. Un’arte in grado di contenere le angosce dello spirito, alternando l’eccitazione vertiginosa generata dalle sue storie immortali al candido conforto di una carezza. Nonostante non sia immune dall’imperfezione, scorre in Empire of Light la tenera sincerità di chi si prodighi a rinnovare una fiducia profonda, disinteressata a chi si senta perduto.

“Great Freedom” per il diritto senza retorica

Great Freedom è contemporaneamente il ritratto di un uomo inconsapevolmente iniziatore di una resistenza silenziosa e una tenera esplorazione della sessualità maschile nella Germania postbellica. Alternandosi tra punti di vista differenti – un po’ voyeur, un po’ sociologo – e stacchi temporali, Meise e lo sceneggiatore Thomas Reider non perdono mai il controllo, bandendo la retorica e dosando accuratamente l’uso della parola diritto senza risultar predicibili.

“Anche io” tassello nel puzzle del dibattito

Anche io non entrerà, magari, nella storia del cinema. Certo, nei prossimi mesi, non vincerà premi – sul punto, è attesa l’uscita di Women Talking di Sarah Polley. Non mancherà chi lo riterrà un prodotto appositamente realizzato per permettere a Hollywood di ripulirsi la coscienza. Ciononostante, rappresenta un tassello nel puzzle, calibrato sobriamente, soprattutto, accessibile a chiunque si ritenga non toccato/a dalla serietà del tema dibattuto.

“Close” tra empatia e opacità

Nonostante l’assenza di un vero discorso sull’elaborazione del lutto, sulle aspettative di una società intimamente intollerante, il regista fiammingo mantiene una notevole sensibilità nello scegliere i suoi interpreti. Pur rivelandosi un opaco affresco dell’adolescenza, per quanto ben confezionato, le lacrime a fior di pelle di Léo, durante un assolo di oboe eseguito dal fedele Rémi, restano un dettaglio di assoluta finezza.

“El Planeta” dentro le mura della casa

Si tratta dell’esordio al cinema dell’artista e influencer Amalia Ulman El Planeta. Nonostante l’incipit prenda le mosse, curiosamente, dal cortometraggio, candidato al Premio Oscar, 7:35 de la mañana, il film è caratterizzato da una struttura episodica fin troppo invadente, peraltro evidenziata da una tipologia di transizione che, considerandone l’elementarità, rischia di pregiudicarne i pregi, a discapito della tangibile naturalezza con cui le due protagoniste (Ale e Amalia Ulman, madre e figlia anche nella realtà) affrontano un intrico di difficoltà quotidiane via via sempre più angoscianti e ineludibili.

“Il momento della verità” tra uomini e bestie

Dell’eredità di Francesco Rosi, audace autore del quale ricorre il centenario della nascita, si è già ampiamente dibattuto in altre sedi. Qui, vorremmo ricordarlo attraverso uno dei suoi film meno conosciuti. Imperfetto, certamente, non esente da una velata tendenza al calligrafismo, a detta di diversi critici dell’epoca, in determinati passaggi, eppure incredibilmente moderno, Il momento della verità, una storia in bilico tra finzione e documentario, interessata in primis all’ascesa, in secondo luogo alla successiva declassazione di un torero da istituzione, stupisce per una capacità di raccontare la realtà con precisione cronachistica.